Avere la testa fra le nuvole, vagare con la mente, superare i confini
materiali e inoltrarsi in mondi fantastici, anche solo per evadere
qualche minuto dalla noiosa realtà quotidiana. Non vi sarebbe alcun
male, se non fosse che per qualcuno l'"essere distratti" è
un grave difetto.
Io appartengo certamente a quella categoria di persone che amano
distrarsi e fantasticare, salvo, poi, essere bruscamente interrotte
da qualche parente che si sente indotto a chiedere "a cosa
stai pensando?", neanche avesse colto qualcuno in flagranza
di reato.
Per fortuna noi amanti delle soffici nuvolette possiamo sentirci
confortati da uno studio dello psicologo neozelandese Michael C.
Corballis, che afferma che avere la testa fra le nuvole è un
elemento positivo per il proprio benessere, in quanto consente di
riposarsi e recuperare energia e lucidità; accresce la nostra
empatia con il mondo; ci permette di inventare e raccontare storie,
di trovare collegamenti tra eventi e persone nello spazio e nel
tempo. Secondo il Premio Nobel Joseph Brodsky è "la nostra
finestra sull'infinità del tempo".
Tutte le argomentazioni di tale studio sono molto interessanti,
soprattutto il riferimento alla possibilità di inventare storie,
anche se dovrebbero essere considerate come scontate. Se ci pensiamo
bene, molti filosofi e letterati venivano accusati di essere fuori
dal mondo ed erano presi in giro perché avevano la testa fra le
nuvole, salvo, poi, elaborare prodotti culturali di altissimo
livello. Mi viene in mente Talete, il filosofo di Milete, descritto
come una personalità multiforme, dotato di ingegno pratico e
speculativo. Fu anche matematico e astronomo e proprio nell'osservare
le stelle, secondo un celebre aneddoto a lui attribuito, cadde in un
pozzo e venne deriso da una servetta.
Dunque, la testa fra le nuvole ci apre le porte verso la fantasia e
la creatività. E magari, quando Susanna Tamaro ha ideato il suo
romanzo di esordio intitolato proprio "La testa fra le
nuvole", il messaggio che voleva comunicare era proprio
questo.
Di certo, la storia creata dalla scrittrice triestina è, per certi
aspetti, stravagante e fantasiosa. Il piccolo Ruben, appena nato, si
lascia sfuggire un urlo sconsiderato che lo pone in profondo
imbarazzo. I parenti che lo circondano, festanti per la sua nascita,
a quell'urlo esplodono in sonore manifestazioni di gioia, per cui il
piccolo si vergogna talmente tanto per il suo gesto inconsulto che si
ripromette di non compiere mai più nella sua vita un'azione tanto
fuori luogo, impegnandosi a trascorrere un'esistenza "tranquilla,
ma tranquilla davvero".
Sicuramente, è abbastanza improbabile che un bambino nato da pochi
minuti possa formulare pensieri così complessi, degni di un uomo già
maturo. In realtà, tutto il romanzo della Tamaro è giocato
sull'assurdo e sul non senso, con Ruben che sembra quasi felice di
rimanere ben presto orfano perché ciò gli consentirà di attuare il
suo proposito, chiuso nel suo mondo pacato e isolato.
Si trasferisce nella villa delle nonne e viene designato erede
universale dal suo ricco zio americano, per cui il suo destino è già
tracciato e la sua vita può procedere con la tranquillità tanto
auspicata, sdraiato in una fossa tra la gloriette e i tigli.
Eppure, da quella posizione inizia a elaborare accurate riflessioni
sulla legge di gravità e sulla possibilità di superarla, lanciando
in aria giavellotti e sperando di ottenere prima o poi il risultato
di farli librare in alto e vederli sparire verso il sole e le stelle.
Ruben, seppure ci appare legato fortemente alla terra e a una vita
tranquilla, si dimostra, in un certo senso, orientato verso il cielo,
alla ricerca di una leggerezza che superi la gravità.
Ruben è davvero convinto che la sua vita sarebbe stata sempre
"tranquilla, ma tranquilla davvero", ma un giorno un
brutto incidente, in cui Oscar, il suo precettore viene colpito e
ucciso per sbaglio da un giavellotto, costringe il ragazzo, ormai
quindicenne, a staccarsi da quella terra e a fuggire, convinto di
essere inseguito dalla polizia, andando incontro a personaggi sempre
più strampalati.
Tra i tanti, incontra Ilaria, una signora priva di vista, che lo
costringe a farle da aiutante e lo porta stretto a sé in giro per la
città; Spartaco, ladro, affarista e privo di scrupoli, che lo deruba
dei risparmi appena messi da parte; il Barone Aurelio, che per Ruben
ha una particolare passione e lo assume come garcon de chambre,
affinché si prenda cura di lui e della sua compagna.
Ruben, in tutte le sue avventure, si dimostra sempre ragazzo
versatile, in grado di adattarsi a ogni situazione: perfetto stuntman
in grado di compiere pericolose acrobazie, abile nei lavori
casalinghi al servizio del Barone, esperto giardiniere nella villa di
Margy, anziana vedova inglese.
E in questo particolare episodio, la Tamaro dimostra la sua passione
per le scienze naturali con accurate e dettagliate descrizioni
botaniche. In mezzo alla natura emerge anche il senso di solitudine
di Ruben, il suo bisogno di colmare un vuoto esistenziale, con una
sete di conoscenza che cerca di soddisfare rivolgendo al suo nuovo
amico, lo scoiattolo Lucrezio, tante domande sul mondo e sul suo
destino. Tante domande cui il piccolo Lucrezio sembra rispondere a
modo suo.
L'avventura di Ruben è una continua e sorprendente sequenza di
situazioni equivoche e bizzarre, situazioni che lo vedono sempre
correre follemente nel tentativo di fuggire e liberarsi da quegli
assurdi personaggi, per raggiungere, infine, la sua meta agognata,
l'America, dove lo aspetta suo zio con l'eredità. Alla ricerca di
quel sogno di leggerezza che si materializza nel pilota Arturo,
stralunato cacciatore di parole perdute, che con il suo aereo gli
farà attraversare l'oceano, alla scoperta del nome di quel
sentimento che "nonostante tutto, permette di andare sempre
avanti con occhi curiosi e attenti".