«Ci
sono ancora storie possibili, storie per scrittori?».
È questo il quesito, a tratti allarmante, che lo scrittore Friedrich
Dürrenmatt pone all’inizio del suo delizioso racconto “La
panne”. È una
domanda che, in realtà, nasce da alcune considerazioni sui possibili
temi che un autore può affrontare nel realizzare le sue opere,
considerazioni che si basano su una determinata logica.
Si inizia tale ragionamento
escludendo che un autore voglia parlare di sé, raccontare le proprie
“speranze e
sconfitte”. Si
ipotizza, invece, che voglia lavorare al proprio tema ponendosi “come
uno scultore di fronte alla materia da cui trarre una statua”.
Tale limitazione finisce necessariamente per trasformare la scrittura
in un mestiere irto di notevoli difficoltà.
Escludendo, poi, di dedicarsi a
valori elevati, moralità e sentenze di facile uso, per rimanere,
piuttosto, sulla superficie, lo scrittore si chiede cosa altro vi sia
da raccontare e arriva, quindi, a constatare che il destino ha ormai
definitivamente abbandonato la scena artistica appostandosi dietro le
quinte, per cui vi sono soltanto incidenti, eventi che accadono
casualmente senza alcun legame con il fato, con l’insieme
dell’universo. Proprio questi accadimenti potrebbero formare
oggetto della scrittura.
Ed è proprio da un evento
casuale, una panne, che la storia narrata prende avvio. Il racconto,
dopo tale interessante prologo, parte subito con l’incidente di
lieve entità che coinvolge Alfredo Traps, un rappresentante di
articoli tessili, un guasto alla sua auto che lo costringe a
pernottare in paese.
L’uomo inizia, quindi, a girare
per il ridente villaggio ai cui margini si trova l’officina cui ha
appena affidato la sua auto per le necessarie riparazioni, non senza
prima aver espresso una certa ironia nei confronti della categoria
dei meccanici: «Traps
fumò una sigaretta e poi fece quanto gli restava ormai da fare. Il
meccanico che rimorchiò infine la Studebaker disse che non avrebbe
potuto riparare il guasto, un difetto all'alimentazione, prima
dell'indomani. Non c'era modo di sapere se fosse davvero così né
era prudente tentare di scoprirlo: siamo alla mercé dei meccanici
come i nostri antenati erano alla mercé dei predoni e, ancora prima,
delle divinità locali e dei demoni»
È, dunque, il caso che lo induce
a fermarsi in quel simpatico paesello, oltre al desiderio di
un’avventura galante. Ed è sempre il caso a condurlo presso una
villa in cui riceve ospitalità per la notte. Una villa di proprietà
di un giudice in pensione, in cui, come di consueto, vengono ospitati
altri tre bizzarri personaggi, un pubblico ministero, un avvocato
difensore e un boia, tutti ormai giunti a quell'età in cui diviene
necessario cessare la propria età lavorativa.
I quattro personaggi, come avrà
modo di scoprire molto presto il rappresentante tessile, sono soliti
inscenare, per trascorrere il loro tempo libero ormai dilatato, i
grandi processi della storia (Socrate, Gesù, Giovanna D'Arco,
Dreyfus), ciascuno nel ruolo ricoperto durante la propria attività
lavorativa. E quando un ospite si unisce a loro, questi diviene il
principale imputato, con un divertimento di gran lunga maggiore,
considerato lo sforzo per ricostruire il delitto commesso e decidere
quale pena applicare.
Il geniale racconto, nella
coinvolgente sequenza narrativa, pone in evidenza la totale ingenuità
di Alfred Traps che, nonostante le raccomandazioni dell'avvocato
difensore e l'invito alla cautela, viene invischiato in pieno nel
processo e irretito dal vortice delle domande del pubblico ministero,
che ricava ogni elemento utile per la definizione della causa, con
accusa di colpevolezza, dal racconto di Traps su eventi della propria
vita. Eventi che mostrano come il rappresentante tessile sia un uomo
dagli orizzonti assai limitati al punto da non avere piena
consapevolezza e coscienza della spregiudicatezza di certe sue
condotte e dei relativi effetti.
In un certo senso, i suoi quattro
compagni di una serata dalle abbondanti libagioni e dalle
sconvenienti confessioni, sembrano porre in atto un processo
catartico, con una presa di coscienza delle conseguenze delle proprie
azioni e delle relative responsabilità, consentendo la visione di un orizzonte di giustizia che sembra porsi al di là della giustizia ordinariamente gestita dagli uomini con procedure burocratiche.
"La
panne" è un
racconto coinvolgente e accattivante, a tratti paradossale, con una
costruzione narrativa estremamente lucida e densa di ironia, che
sembra quasi dimostrare un teorema: mettendo da parte il destino e le
leggi universali e partendo da un incidente casuale, si arriva
comunque a percorrere una sequenza di eventi che dal particolare
giunge all'universale, dal circoscritto ed egoistico ambito personale
perviene, seppure con una certa bizzarria, alla scoperta di un ideale
di giustizia.