«Dovevano essere per noi diciottenni tutori e guide all'età virile, condurci al mondo del lavoro, al dovere, alla cultura e al progresso; insomma all'avvenire. Noi li prendevamo in giro e talvolta facevamo loro dei piccoli scherzi, ma in fondo credevamo a ciò che ci dicevano. Al concetto dell'autorità di cui erano rivestiti, si univa nelle nostre menti un'idea di maggior saggezza, di più umano sapere. Ma il primo morto che vedemmo mandò in frantumi questa convinzione. Dovemmo riconoscere che la nostra età era più onesta della loro, che ci sorpassavano soltanto nelle frasi e nell'astuzia. Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e fece crollare la concezione del mondo che ci avevano insegnato».
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque è uno straordinario romanzo sugli orrori e sull'assurda follia della Prima Guerra Mondiale, un romanzo che indubbiamente risente dell'esperienza personale dell'autore, che nel 1916 fu spinto ad arruolarsi volontariamente e nel 1917 fu spedito sul fronte occidentale, dove rimase gravemente ferito.
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque è uno straordinario romanzo sugli orrori e sull'assurda follia della Prima Guerra Mondiale, un romanzo che indubbiamente risente dell'esperienza personale dell'autore, che nel 1916 fu spinto ad arruolarsi volontariamente e nel 1917 fu spedito sul fronte occidentale, dove rimase gravemente ferito.
Il romanzo ruota intorno alle vicende di quattro ragazzi, Paul Baumer, la voce narrante, Albert Kropp, ritenuto il più intelligente del gruppo, Muller, che in caserma e sul fronte ancora si tirava dietro i suoi libri di scuola sognando una sessione di esami di emergenza, Leer, barbuto e con una predilezione per le ragazze dei bordelli riservati agli ufficiali. Quattro diciottenni, compagni di scuola, che decidono di arruolarsi volontariamente e di recarsi a combattere al fronte, spinti dai discorsi esaltati del loro professore, Kantorek, che cerca in ogni modo di imprimere loro il senso del dovere verso la patria e la necessità di difenderla da ogni pericolo.
Kantorek era un idealista, come ve ne erano tanti all'epoca, che si
considerava favorevole all'intervento in guerra pur rimanendo in
patria e, ammantato di una parvenza di saggezza, aveva creato nelle
menti dei giovani in procinto di arruolarsi un mondo illusorio,
destinato a crollare con il primo compagno morto, colpito da una
granata.
La narrazione si apre immergendoci subito negli orrori della guerra,
con un apparente cinismo che vuol essere un modo per fuggire
mentalmente da quella barbarie, cercando gli aspetti positivi e
inseguendo una sensazione di leggerezza. I giovani soldati hanno
appena ricevuto il cambio al fronte e stanno facendo ritorno nelle retrovie,
dopo aver ricevuto un duro attacco da parte dei nemici e aver subito
numerose perdite. Eppure mettono da parte lo spavento e il dolore e
si aggrappano a tutto ciò che di positivo ci può essere, come una
doppia razione di rancio, una sigaretta in più, un paio di stivali,
pensando alla possibilità di starsene alcune ore tranquilli all'aria
aperta a leggere, a giocare carte e a parlare.
Il dramma di questi ragazzi, come viene ribadito più volte nel
romanzo, soprattutto nelle riflessioni di Paul, è il non aver fatto
in tempo a mettere radici, essendo troppo giovani per creare progetti
in vista dell'avvenire e per costruire propri saldi punti di
riferimento: si sono presentati al fronte rivestiti di ideali
romantici, ben presto distrutti e soppiantati da un senso pratico che
rischia di farli apparire spietati. Illuminante in tal senso è un episodio di cui è protagonista Muller, che appare quasi ossessionato dal desiderio di difendere gli stivali del compagno in fin di vita.
Questo senso pratico deriva loro soprattutto dall'addestramento:
«Divenimmo
duri, diffidenti, spietati, vendicativi, rozzi; e fu un bene: erano
proprio quelle le qualità che ci mancavano. Se ci avessero mandato
in trincea senza quella preparazione, la maggior parte di noi sarebbe
impazzita. Così invece eravamo preparati a ciò che ci attendeva».
In questo contesto, diventa forte il legame che Paul e i suoi compagni stringono con altri soldati, un legame fatto di sostegno reciproco, di confidenze e di conforto pur di fronte al dolore e alla morte. Un rapporto che si concretizza anche in accese discussioni su svariati e interessanti temi, partendo dal tentativo di spiegare perché uomini modesti nella vita ordinaria diventano spietati tormentatori in caserma, per poi arrivare alla ricerca dei motivi che spingono i Paesi a dichiararsi guerra.
Il legame è molto forte
soprattutto con Katczinsky, il capo della squadra, tenace e scaltro
quarantenne, che riesce a cavarsela in ogni situazione, capace di
trovare ovunque i mezzi per sopravvivere, soprattutto cibo in
abbondanza, un vero emblema del cameratismo: «Anziché
spezzarci ci adattammo, aiutati in questo dai nostri vent'anni, che
pure ci rendevano tanto duri altri sacrifici. Ma importante fu che
tra noi venne in tal modo sviluppandosi un forte sentimento di
solidarietà, il quale poi al fronte si innalzò a quanto di meglio
abbia prodotto la guerra: il cameratismo».
Nel romanzo la caratterizzazione dei personaggi è molto forte: Remarque non manca mai di presentarci i suoi protagonisti con pennellate decise, con quei tratti che li contraddistinguono e li accompagnano nelle alterne vicende belliche. Ma la forza della narrazione risiede soprattutto nella capacità di scolpire immagini indelebili, forti e crude, oppure ilari e spassose, spesso dense di una poeticità struggente, in grado di far rivivere le sensazioni di smarrimento di ragazzi al fronte che, privi di saldi punti di riferimento, non riescono a intravedere un futuro e si sentono ormai perduti.
Si alternano le descrizioni
dettagliate degli scenari e delle operazioni di guerra, con una
precisione tecnica accompagnata da una tensione emotiva che trapela
con violenza. Paul pensa al fronte come a un orribile gorgo che
attrae con forza, ma nello stesso tempo benedice la terra che lo
protegge e in cui si ritrova avvolto contro il pericolo delle
schegge che piovono continuamente, spinto da un atavico istinto di
sopravvivenza che di seguito viene descritto con grande maestria: «Al
fischio delle prime granate, al primo strappo dell'aria solcata dalle
detonazioni, subito nelle nostre vene, nelle mani, negli occhi è
come un'attesa sommessa, un origliare, un essere più svegli, una
singolare duttilità dei sensi: all'improvviso tutta la persona si
trova in piena efficienza».
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" è, dunque,
un capolavoro della letteratura mondiale, un romanzo che necessità
di una lettura lenta, affinché ogni immagine, ogni pagina possa
sedimentare dentro. È il racconto di una generazione perduta a
causa della guerra, ragazzi strappati alla loro vita e mandati al
fronte, purtroppo consapevoli che se anche venisse loro restituito il
paesaggio della loro gioventù, non saprebbero goderne, ormai
completamente slegati dal loro mondo iniziale: «abbandonati
come bambini, disillusi come anziani, siamo rozzi, tristi,
superficiali. Io penso che siamo perduti».
E questa sensazione Paul la sperimenta durante la prima licenza
trascorsa a casa.
È, in conclusione, una narrazione di vicende belliche che sa
tradursi splendidamente in poesia tenera e tragica: «Un
piccolo soldato e una voce benevola, e se gli faceste una carezza,
forse non vi capirebbe più: ha gli scarponi ai piedi e il cuore
pieno di terra; e marcia così, e ha tutto dimenticato fuorché il
marciare. Non sono forse fiori quelli all'orizzonte, e un paesaggio
così quieto che gli viene voglia di piangere, al soldato? Non ci
sono forse là immagini che lui non ha perduto perché non le ha mai
possedute? Immagini che lo turbano, ma che per lui sono passate via?
Non sono forse là i suoi vent'anni?»
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