In questi giorni si è parlato molto dell'assegnazione dei Premi
Pulitzer per l'anno 2018. Come è noto, il premio Pulitzer è un
ambito premio statunitense, la più prestigiosa onorificenza
nazionale assegnata in varie categorie (attualmente 21),
principalmente per il giornalismo, i successi letterari e le
composizioni musicali.
Venne istituito da Joseph Pulitzer, giornalista e magnate della
stampa statunitense, che alla sua morte, avvenuta nel 1911, lasciò
l'intero patrimonio alla Columbia University di New York che da
allora si occupò di gestire il premio, assegnato per la prima volta
nel 1917.
Per la narrativa, il premio è stato assegnato a partire dal 1918,
quale "Premio Pulitzer per il romanzo" a un romanzo scritto
da un autore statunitense. Dal 1948 il premio ha modificato la
propria denominazione in "Premio Pulitzer per la narrativa",
continuando a essere assegnato a un'opera di narrativa di un autore
statunitense, che tratti in preferenza della vita americana.
Tra le principali opere premiate nel corso dei decenni: "L'età
dell'innocenza" di Edith Wharton (1921); "Via col
vento" di Margaret Mitchell (1937); "Furore"
di John Steinbeck (1940); "Il vecchio e il mare" di
Ernest Hemingway (1953); "Il buio oltre la siepe" di
Harper Lee (1961); "Il dono di Humboldt " di Saul
Bellow (1976); "Pastorale americana" di Philip Roth
(1998).
Quest'anno il Premio Pulitzer per la narrativa è stato assegnato ad
Andrew Sean Greer con il romanzo "Less" (edito in
Italia dalla Nave di Teseo).
Andrew Sean Greer, nato a Washington nel 1970, è uno scrittore che
ho scoperto casualmente anni fa. Ricordo che mi trovavo a Bari per
lavoro, passeggiavo lungo la principale via del centro in una calda
serata di fine maggio quando venni attratto dalle sfavillanti luci di
una invitante libreria Feltrinelli. Dentro vi era un certo fermento,
che lasciava presagire la presenza di un personaggio importante.
Quella sera, infatti, il cantante Mario Venuti presentava il suo
nuovo disco.
Io mi fiondai nel settore "narrativa". Avevo appena
terminato un libro (un romanzo di Peter Cameron se non ricordo male)
e fui incuriosito da questo titolo di Andrew Sean Greer, titolo
apparentemente semplice e lineare, "La storia di un
matrimonio". Mi convinse soprattutto la recensione in quarta
di copertina, in cui si parlava di un'ansia arcana che percorreva la
lettura in un susseguirsi di colpi di scena, con il giudizio finale
di Antonio D'Orrico: "Romanzo di superba reticenza, che fa
del non detto una strategia narrativa emozionante".
Lo acquistai subito, lo lessi nei giorni successivi e lo trovai
semplicemente splendido e coinvolgente. Effettivamente nel corso
della lettura provai quella sensazione ansiosa e quasi claustrofobica
cui accennavo sopra, rapito dalle emozioni dell'appassionante storia
di Pearlie e del suo amore per Hollande, un uomo bello e pieno di
lati nascosti. Pearlie con il suo sguardo lucido e disincantato
semina pian piano lungo le pagine gli elementi necessari per
comprendere le sue sensazioni, i sentimenti di una storia fatta di
fantasmi che ritornano dal passato e di vite che cercano di trovare
una propria ragion d'essere. Spesso si ripete questa riflessione, che
risuona come una sentenza inappellabile: "Crediamo tutti di
conoscere la persona che amiamo [...] Crediamo di conoscerli, di
amarli. Ma ciò che amiamo si rivela una traduzione scadente da una
lingua che conosciamo appena".
Il mio rammarico in questi anni è di non aver continuato a leggere
altre opere di questo grande autore. E ora che Andrew Sean Greer ha
avuto finalmente il meritato riconoscimento mi sembra più che giusto
sanare gli arretrati, ovvero "Le confessioni di Max Tivoli"
e "Le vite impossibili di Greta Wells", per poi
proseguire con il romanzo premiato, "Less".
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