"A volte sembra che tiene paura di correre, ed è brutto
quando hai paura di correre perché rimani sempre indietro agli altri
che ti superano e si pigliano tutto quello che è tuo, anche la
gioia. Per questo io non ho paura e corro e mi piglio tutto, perché
è tutto mio. Funziona così quando non hai niente, quando parti da
zero. Devi correre più forte degli altri e vincere sempre".
Questa riflessione del giovane Mario - espressa con un'esuberanza
giustificata dal desiderio di rivalsa - rappresenta uno dei punti
nodali del romanzo di Vincenzo Restivo "La Santa piccola"
(Milena Edizioni). Si tratta della continua corsa di chi si trova a
vivere in una condizione di povertà, disagio, abbandono,
superstizione, violenza e cerca di sopravvivere, di emergere, di
allontanarsi dai margini tentando di conquistare un obiettivo, un
sogno, una piccola vittoria che, però, finisce per rarefarsi sempre
di più, man mano che ci si avvicina, fino a scomparire come fosse un
miraggio.
"La Santa piccola" è ambientato in un caseggiato
popolare di Forcella, una zona di Napoli, in cui gli abitanti sono
ormai abituati all'odore di gas delle vecchie e usurate tubature e
cercano di andare avanti aggrappandosi magari anche a qualche
miracolo.
È un romanzo breve, strutturato come un racconto a tre voci, in cui
Assia, Mario e Lino, tre giovani abitanti dello stabile, si alternano
nella narrazione, esprimendo sogni e desideri, ma anche delusioni,
sconfitte e frustrazioni, facendo emergere il proprio punto di vista
sulle vicende vissute e ribaltandolo sugli altri, quasi inseguendosi
l’uno con l’altro in una specie di “circolo emozionale”,
in cui le sensazioni si susseguono e spesso non vengono rivelate
apertamente, se non con uno sguardo, un gesto, una parola.
La scrittura di Restivo è scorrevole, apparentemente semplice, ma
nello stesso tempo attenta nel restituire, anche con parole tratte
dal gergo giovanile napoletano, la spontaneità delle riflessioni dei
tre ragazzi non ancora diciottenni, che appaiono più adulti e maturi
della loro età, forse per il vissuto che li ha costretti a prendere
rapidamente decisioni, ad assumersi responsabilità più grandi di
loro, assorbiti da quella continua corsa a cui accennavo sopra.
Mario, Assia, Lino … come non affezionarsi a loro? Mario è il
primo personaggio che si presenta in scena, colto nel momento in cui
cerca di aiutare il suo migliore amico Lino, pure lui costretto a
darsi da fare per imprescindibili necessità economiche. Mario è un
ragazzo generoso che nutre un forte desiderio di emanciparsi dalla
povertà, avverte innegabilmente la necessità di aiutare i propri
genitori, di sostenerli, di portare a casa i soldi che servono per le
esigenze di tutti. E da un anno non esita a prostituirsi,
coinvolgendo anche Lino. È certamente una situazione di degrado, che
in alcuni casi riesce anche a procurargli piacere, anche se mai
potrebbe ammetterlo. Ma sicuramente è forte il suo disgusto verso
quei personaggi che in pubblico si ammantano di una veste di
rispettabilità e in privato si approfittano di ragazzi come lui.
Mario è preda di un conflitto che non comprende davvero e non sa
risolvere, un sentimento nei confronti del suo amico Lino che gli
rimbomba nel petto, un desiderio con cui cerca di andare avanti. Può
cercare di ridimensionarne la portata, continuare a ripetersi che
quei sentimenti lui li prova solamente verso Lino, che a lui le
donne piacciono fisicamente, ma quel desiderio esiste e non può
negarlo. C'è confusione, incertezza in Mario, tipica di chi si sente
circondato da un muro di intolleranza che guarda con sospetto,
disgusto, vergogna chi appare diverso. Prevale, dunque, la paura di
far trasparire le proprie sensazioni, sembra che non si possa far
altro che nascondere i propri sentimenti, mentire anche a se stessi
fino a quando quel desiderio non esplode irrefrenabile.
Assia si sente circondata e oppressa da una situazione familiare che
vorrebbe imporle determinate scelte di vita: una relazione con
qualcuno che si collochi in una situazione migliore, studi
universitari, stabili prospettive di vita. Ma lei rifiuta tali
imposizioni, che finirebbero soltanto per comprimere la sua felicità,
non ha alcuna intenzione di accontentare i suoi familiari per
scontentare se stessa. Dei tre protagonisti è probabilmente il
personaggio più assennato: innamorata di Lino, progetta con lui un
matrimonio e, temendo che il ragazzo possa cacciarsi nei guai, cerca
in ogni modo di metterlo in guardia. Eppure, a volte si trova a
fronteggiare i suoi istinti, i suoi scatti di violenza finendo, a
torto, per assecondarne le giustificazioni, perché in fondo lui è
fatto così e non può farci niente .
E poi Lino, finalmente, questo ragazzo che non vuole in alcun modo
mostrare segni di debolezza, che teme che qualsiasi cedimento possa
trasformarlo in una vittima della violenza e dei soprusi altrui, che
considera Mario un debole da fortificare e Assia la sua ragione di
vita e di riscatto. Ma in realtà questa sicurezza nasconde una
profonda paura che di notte gli opprime il petto, soprattutto dopo la
violenta uccisione del padre. Una paura che sfocia in rabbia e
violenza.
Sullo sfondo vi è quella religiosità che rasenta la superstizione,
quel miracolo che tutti aspettano, come una speranza a cui
aggrapparsi, quella ragazzina, Annaluce, la “Santa piccola”
appunto, intorno a cui l'intero caseggiato, e non solo, sembra
affollarsi. “Io un po' la capisco questa gente, perché se
preghi quando le cose non vanno bene, pare che un po' ti passa e ti
senti meglio. Io non lo nascondo che, anche se non ci credo, a volte,
di notte, ci parlo con qualcuno. Non so se è Dio o papà, so solo
che gli parlo e gli chiedo tante cose, anche su di me e su Assia,
anche su mamma. Così mi sento meglio e riesco a dormire senza la
paura in petto”.
“La Santa piccola” è, dunque, un romanzo duro, disincantato,
struggente, che, pur nella sua brevità, semina notevoli spunti di
riflessione, che continuano a germogliare anche dopo aver voltato
l'ultima pagina, sospeso tra speranza, paura, desiderio di riscatto e
le bugie di “uno di quei giorni che poi finivano”.
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