Fino
a che punto il dolore di un passato che continua a tormentare può
condizionare la vita futura e produrre i suoi nefasti effetti sulle
scelte quotidiane? Perché prima di compiere il male non si pensa mai
a quali inevitabili conseguenze si possano determinare sugli altri?
Sono queste le insidiose domande che suscita la lettura del romanzo
"La logica del mammifero"
(Prospero Editore) dello scrittore milanese Paolo Vitaliano Pizzato.
Domande alle quali si tenta di dare risposte mai definitive.
Quella
narrata ne "La logica del mammifero" è
una storia difficile, attraversata da un'amarezza di fondo e da un
continuo senso di impotenza. Non c'è alcun intento di accarezzare o
consolare il lettore, né di redimere o salvare, ma di coinvolgere e
indurre a riflettere. È una storia, dunque, alla quale ci si
avvicina con delicatezza, in punta di piedi, nella consapevolezza che
il dolore non può essere giudicato, può al limite essere compreso,
anche se non pienamente.
Il
dolore è il nucleo centrale della vicenda di Clarissa, che è poco
più di una bambina quando sua madre mostra di non avere più alcuna
intenzione di prendersi cura di lei e dei suoi fratelli Jacques e
Alphonse. A quel punto, quella di Clarissa, abbandonata e lasciata in
balia di un padre ubriacone e violento, diviene un'esistenza
infernale, fatta di botte e continue umiliazioni, oltre alla
privazione di tutto ciò che è indispensabile per la sua crescita e
il suo benessere fisico e mentale.
Tale
vicenda è intessuta attraverso una scrittura precisa e accurata, che
avvolge il lettore con la ricchezza di un impianto narrativo solido,
basato su fitti dialoghi, descrizioni dettagliate degli ambienti in
cui si svolgono le vicende quotidiane, e su di un'ammirevole
attenzione ai particolari. Una scrittura che non perde mai di
fluidità, pur con una narrazione che si muove spesso avanti e
indietro nel corso degli anni, ripercorrendo un vasto periodo che va
dalla seconda guerra mondiale al primo decennio del duemila.
Il
romanzo si divide in due parti. La prima parte si concentra
essenzialmente sulle vicende, ambientate in Francia, di Clarissa
bambina e adolescente, sulle violenze fisiche subite e sul senso di
vergogna che lei continuamente provava per la miseria in cui era
costretta a vivere, indotta dal padre a rubare e a vivere di
espedienti: "Era qualcosa di più oscuro, che aveva a
che fare con il nostro destino. Tutti, ragazzi, adulti, amici,
semplici conoscenti, bottegai, colleghi di lavoro di mio padre, ci
guardavano con sospetto e diffidenza. Era come se le altre persone
riuscissero a vedere, attraverso noi e al di là dei giorni, dei mesi
e degli anni che con trepidazione vedevamo scorrere, il nostro futuro
già scritto".
Dunque, Clarissa vede continuamente negli occhi altrui una condanna
inesorabile, come se fosse impossibile poter cambiare il suo destino
di miseria e vergogna. Ciò che la intristisce ancor di più,
tuttavia, è il dover constatare che i suoi fratelli non hanno alcuna
reazione di fronte a tale miserevole situazione, come se si fossero
arresi, come se fossero morti dentro. Convinti, anzi, che sia la
sorella a esagerare e a ingigantire il tutto.
Il padre avverte la vergogna di Clarissa e questo lo porta a odiarla
e a trattarla anche peggio rispetto ai fratelli. Forse perché la
consapevolezza di Clarissa, con la sua intelligenza e la capacità di
capire "tutto al volo", è come uno specchio in cui
lui è costretto a riflettersi e a vedere la propria malvagità e
miseria umana. E ciò per lui è intollerabile.
Quando il fratello maggiore Jacques si fidanza con Georgette, la
reazione di Clarissa, ormai da tempo fuggita di casa, è un misto di
delusione e di rabbia incontrollabile. Non riesce, infatti, a
tollerare che suo fratello, solo dopo aver incontrato Georgette,
abbia iniziato a vergognarsi per la miserevole vita cui il padre lo
aveva costretto, voltando così le spalle ai suoi fratelli. E tale
rabbia finisce per scaricarsi su Georgette, aggredita e quasi uccisa
da Clarissa in una concitata scena di lotta tra le due donne.
Nella seconda parte viene descritto l'arrivo di Clarissa in Italia,
la sua lotta per non affondare, i lavori per mantenersi, alle
dipendenze di datori sfruttatori. E, poi, la nascita di suo figlio
Lorenzo, dopo numerosi aborti e il desiderio di non diventare madre
perché "mettere al mondo un figlio sarebbe esattamente
questo; legare alla macchina dispensatrice di morte una nuova
vittima, perpetuare quell'assurdo, sanguinario rituale".
Una volta nato suo figlio, Clarissa si pone fermamente l'obiettivo di
porlo al riparo da tutta la miseria che lei ha dovuto subire. Nel
gestire il suo ruolo di madre, tuttavia, non può affidarsi a modelli
o riferimenti affettivi, non ha esempi di amore su cui basarsi e con
cui condurre in maniera equilibrata il suo rapporto con Lorenzo,
detto Cico. Questi esempi lei non li ha mai avuti. C'è solo
l'ossessiva idea di dignità e di rispetto, il tentativo di evitare
che gli altri sappiano che lei e suo figlio devono lottare
quotidianamente con la mancanza di soldi e con i debiti che si
accumulano. E così Cico frequenta una scuola privata per benestanti,
veste bene, non gli manca nulla, è circondato da un'illusione di
ricchezza e benessere, mentre Clarissa è costretta a ricorrere a
usurai e a prestiti da rimborsare con immensa fatica, ogni volta che
un ostacolo si frappone sul suo cammino, che sia la perdita del
lavoro o una costosa operazione dentistica.
Il rapporto tra Clarissa e Lorenzo è complesso, fatto di
incomprensioni e muri, con il ragazzo che di fronte all'insorgere
delle difficoltà non sa bene come reagire, timoroso di perdere ciò
che ha sempre avuto e la madre che non tollera i suoi timori, ma
vuole semplicemente essere compresa nelle sue scelte di vita e non
esita a ricordare i motivi che sono alla base di tutte le sue azioni.
Sono numerosi i modelli letterari di riferimento dell'autore,
classici, antichi, contemporanei, spesso citati tramite le letture di
Lorenzo che considera i libri il suo "rifugio nei momenti
tristi. E un'inesauribile fonte di gioia in tutti gli altri giorni".
Mi colpisce, in particolare, il riferimento a Marziale che "guardava
gli uomini, cercando in ognuno di essi un motivo per amarli, una
ragione per farlo, ma per quanto cercasse non trovava nulla, e al suo
cuore, colmo di amarezza, non rimase altra strada che quella
dell'invettiva, della denuncia". La stessa amarezza che
Clarissa ha provato molto spesso e che l'ha portata a fare certe
scelte di vita.
E, poi, Dickens, il miglior creatore di personaggi secondo
Chesterton, un grande scrittore le cui pagine prendono vita non
appena compaiono i suoi personaggi. E, in un certo senso, molti
personaggi de "La logica del mammifero" hanno
qualcosa di dickensiano, compaiono nella vita di Clarissa e Lorenzo,
cercando di portare una luce, una speranza, una svolta. Come Marion,
la buona signora che vive di espedienti e furti e che accoglie la
giovane Clarissa fuggita dal padre; gli amici Goffredo e Pilar Torres
che sostengono Clarissa quando ha bisogno di aiuto o di affetto; la
vicepreside Bonini che accoglie Lorenzo nella scuola e rappresenta,
con il suo sorriso benevolo, l'anima dell'istituto; Dante, il miglior
amico di Lorenzo e forse colui che più di tutti cerca di aprirgli
gli occhi sulla realtà che lo circonda.
Sono, dunque, tanti i personaggi, definiti, scolpiti, che intrecciano
le loro vite in un destino inesorabile che non risparmia i suoi
fendenti. E la forza di questo romanzo è di rendere, con efficacia e
senza eccessiva enfasi, l'incedere di tale destino nelle sue vicende
quotidiane, un destino contrassegnato da un dolore ineluttabile, ma
anche dalla ricerca di piccoli segnali di speranza.
Grazie mille per la tua lettura così attenta e partecipe!
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