"Se mi avessero chiesto di nascere non so cosa avrei
risposto, figuriamoci se mi avessero chiesto dove. Qui sulla nave
sento che appartengo a questo posto e a questo mare e che pure
l'appartenenza non vuol dire assoluta fedeltà, cieca sudditanza".
Questa frase pronunciata da Diego, protagonista del bel romanzo
di Filippo Nicosia "Un'invincibile estate" (Giunti Editore), è una
toccante riflessione che mi colpisce particolarmente: è espressione
della libertà di sentirsi parte di un luogo, ma nel contempo di non
avvertirne un legame indissolubile, una trappola che impedisce di
realizzare sogni e aspirazioni.
E il tentativo di conquistare tale libertà può essere considerato
come il filo conduttore di questo romanzo, che si svolge in un
quartiere messinese in cui "per fare amicizia con qualcuno
dovevi far parte di una banda e dovevi sapere picchiare".
Dunque, una ricerca di libertà quale obiettivo che i protagonisti
cercano di realizzare lungo un percorso irto di difficoltà e
ostacoli, spesso interiori.
In questo percorso Diego cerca, anzitutto, di ricostruire i pezzi del
suo passato, la storia della sua vita e delle persone che ne fanno
parte. Tutto sembra avere inizio con la scoperta di una fotografia,
in cui, ancora bambino, è ritratto insieme a un altro ragazzo. Una
foto che è solo in apparenza una semplice istantanea, ma che ha un
"prima", una famiglia come tante altre immersa nella sua
ordinaria quotidianità, e un "dopo", il dolore e
l'allontanamento.
Il romanzo si apre con la morte di Salvatore, quel padre con cui
Diego ha vissuto da solo dall'età di tre anni, dopo che la madre è
morta per un tumore. Ma lui non è l'unico figlio, c'è anche un
altro fratello, Giovanni, attorno a cui sembra aleggiare un alone di
mistero e di omertà, anche da parte degli altri parenti. Suo padre
si è limitato in tutti quegli anni a sostenere, mentendo, di aver
allontanato Giovanni per il bene di Diego, perché "ricchiuni"
e pedofilo. Tuttavia, Diego sente che la verità è un'altra.
Diego ha solo quindici anni la prima volta in cui ritrova nel
portafoglio di suo padre quella foto che lo ritrae insieme a
Giovanni. Su quella foto è annotato un indirizzo di Roma e lui non
esita a recarsi lì per conoscere suo fratello, salvo ricevere, poi,
un secco rifiuto e un invito a ritornare a casa. Ritroverà quella
foto durante i preparativi per i funerali di Salvatore e a quel punto
sarà Giovanni a ritornare a Messina e a ricomparire dopo la
cerimonia.
"Un'invincibile
estate"
è un romanzo che scorre veloce, un po' come quelle giornate estive
che si susseguono rapide tra le pagine di un calendario in cui "è
difficile far scandire il tempo ai giorni",
dotato di uno stile limpido e sobrio, di un linguaggio curato, ma che
nello stesso tempo cerca di rendere con efficacia l'immediatezza e la
spontaneità dei protagonisti, con i loro dialoghi rapidi e incisivi
e con la descrizione dei luoghi di Messina, che viene rappresentata
in tutte le sue bellezze e contraddizioni.
Diego, alla ricerca del suo posto nel mondo, ci cattura con le sue
riflessioni acute, su svariati temi: "Forse lo studio non era
per me, o non era per me la letteratura, o certa letteratura, o forse
l'università, o non era per me il servilismo: così, a vent'anni, è
troppo presto, ci devi essere portato a stare supino anche se è da
giovani che si vede il talento ... La morte di qualcuno è una
sconfitta atroce, una vergogna. Io mi vergogno che qualcuno sia morto
per il mio bene, mi fa venire voglia di urlare, e invece la gente si
riempie la bocca di Falcone e Impastato. Non basta chiamare i figli
con il loro nome o intitolargli strade, bisognerebbe vergognarsi,
sentirsi un po' responsabili della loro morte.".
Colpisce la determinazione di Diego nel voler rimanere coerente con i
propri ideali e valori, la voglia di mettere a frutto, a costo di
sacrifici, la sua passione per la cucina. E soprattutto il legame con
un padre che lo ha cresciuto da solo, un affetto contrastato dal
ricordo di un uomo che, quando era ubriaco, non esitava a essere
violento e manesco, il tentativo di difenderne la memoria con
l'arrivo del fratello Giovanni, inizialmente considerato un intruso,
i dubbi su una verità che fatica a venire a galla.
Diego cerca di apprendere questa verità dal fratello, un ragazzo
fragile, che sembra fuggire di fronte agli ostacoli, incapace di
assumersi le proprie responsabilità. Il rapporto tra i due ragazzi
sembra attraversare fasi alterne, tra il duro scontro iniziale, il
rifiuto, i tentativi di avvicinamento, in cui Diego cerca di
ricostruire i ricordi di sua madre, scomparsa troppo presto. E poi
ulteriori contrasti, quando Giovanni si invaghisce di Ester, la
migliore amica di Diego, da cui aspetterà poi un figlio. Scontri che
hanno sempre sullo sfondo il ricordo ingombrante del padre con cui i
ragazzi devono fare i conti ogni volta, ponendosi a confronto e
rinfacciandosi reciprocamente di essere uguali o peggiori di lui.
Un aspetto del carattere di Diego che emerge nel corso del romanzo è
una certa resistenza al cambiamento: "Non credo troppo ai
cambiamenti, mi sembra sempre che siano illusori". Una
resistenza che nasconde la paura di affrontare il cambiamento stesso,
come si evince dal dialogo con Martina, una ragazza con la quale ha
da poco iniziato una storia:
" - E cosa mi metto a fare, qui ho un lavoro e mio fratello e
la mia amica che aspetta un figlio e sento che hanno bisogno di me, e
poi c'è il mare.
- Ma anche lì puoi trovarne, di amici e lavori.
-
Non lo so perché, capisci, è come se una volta di là non potessi
più tornare indietro.
-
E perché?
-
Perché di là ci sono più opportunità e la vita è facile; lì
potrei essere normale e mi potrebbe piacere".
Diego appare, dunque, in preda a un contrasto interno: da un lato, la
volontà di conquistare quella libertà che la sua ragazza Martina e
il suo amico Lillo, lo chef del ristorante dove lavora, sembrano
volergli offrire, il desiderio di percorrere quel tratto di tre
chilometri che separa la Sicilia e la Calabria persino a nuoto;
dall'altro, la paura dei pericoli in cui potrebbe incorrere lungo
quel tratto, il senso di sicurezza e di appartenenza che lo fa
sentire avvinghiato al luogo natio, pur con le sue miserie e i suoi
limiti.
"Un'invincibile estate" è, dunque, per me più di
un romanzo di formazione, è il racconto di una conquista, del
raggiungimento della consapevolezza di sé e delle proprie capacità,
l'idea che non vi è un legame indissolubile con il contesto di
origine, perché si può andare o tornare, ma in fondo siamo (o
dovremmo essere) tutti liberi.
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