«Avevo trattato la zona con
indifferenza, come un vecchio amico che si è smesso di frequentare,
un ex compagno di scuola sbiadito insieme agli insegnanti amati e
odiati, alle aule e ai loro odori, abbandonato nell'eterno
sovrapporsi dei giorni. Avevo avuto le mie buone ragioni per
comportarmi così, lo sapevo bene, ma in quel momento era come se le
motivazioni di un tempo avessero perduto la loro importanza. Adesso
c'era soltanto la zona, e il terrore di perderla per sempre».
"Ripaferdine (storie di
cortile)" (Giraldi Editore) è un romanzo molto particolare
di Paolo Vitaliano Pizzato, composto da una sequenza di quadri, di
storie, di stralci di vita che alternano momenti di ironia, tenerezza
e coraggio, ma anche di paura e scoramento. Sono storie legate tra
loro dal filo della memoria, dalla nostalgia di un uomo che intende
narrare tali vicende per cercare in qualche modo di trattenere e
rievocare il passato, sforzandosi di impedire che i pezzi che lo
compongono vadano inesorabilmente perduti a causa dell'inarrestabile
avanzare del progresso.
L'uomo che cerca di realizzare
tale salvifica narrazione è un ingegnere che ha trascorso la sua
infanzia e adolescenza in un quartiere periferico di Milano, "un
quadrilatero, una serie di vie che tagliano schiere di palazzi e
piccoli negozi", confidenzialmente ribattezzato "la
zona" dai suoi abitanti, e che ora vi ritorna per svolgere
il suo lavoro, ovvero vigilare sull'esecuzione di un piano di
ristrutturazione che, in vista dell'Expo 2015, avrebbe dovuto
coinvolgere l'intera zona trasformandola radicalmente.
La paura dell'ingegnere è che la
zona con questo profondo stravolgimento possa perdere i suoi
connotati essenziali, quelle caratteristiche che in un certo senso
l'avevano resa un luogo unico e a cui i suoi ricordi di bambino sono
legati in modo indissolubile. Per questo motivo vuole affidare tali
ricordi alla scrittura, da cui emerge un'assai variopinta galleria di
personaggi, ognuno con il proprio mondo interiore da cogliere e
svelare nella sua essenza.
L'io narrante - inizialmente
rappresentato dall'ingegnere che nelle pagine successive ritorna a
essere semplicemente Paolo, quel bambino che giocava in cortile con i
suoi amici - si trasforma acquisendo un punto di vista collettivo,
ovvero quel gruppo di ragazzini che della zona costituisce
l'anima, lo spirito vitale, l'acuto occhio indagatore.
I ragazzi vivono la zona
con i loro giochi, i litigi, i conflitti e le competizioni, i primi
tormenti amorosi e un profondo sentimento di fratellanza che nel
corso degli anni li unisce. La zona diviene il loro punto di
riferimento rispetto a cui paragonare ogni altra parte della città
che, di conseguenza, «diventa
miraggio, qualche volta desiderio, qualche altra invece, quando
decidiamo di avventurarci oltre la nostra zona, diventa scoperta».
E, percorrendo la strada principale, talmente lunga e dritta che
non se ne vede la fine, nella zona finiscono per arrivare i
protagonisti delle diverse storie, persone che i ragazzi non possono
fare a meno di osservare con attenzione imparando col tempo a
capirle.
"Ripaferdine",
in continuità con i precedenti romanzi di Pizzato, denota una forte
esigenza di analisi introspettiva, che viene resa efficacemente
attraverso la combinazione di altri elementi, tra cui la narrazione
di carattere memoriale e, per certi aspetti, il romanzo di
formazione, e assume una dimensione corale, collettiva, di umana
partecipazione alle vicende di uomini e donne che si sentono
sconfitti dalla vita, ma che in qualche modo riescono a non essere
completamente infelici: «gli
uni avevano gli altri, seppur in una comunione umana confusa, in una
babele d'affetti che scambiava per autentico interesse una morbosità
pruriginosa, in un immaturo labirinto di invidie, separazioni,
alleanze che mutavano a un ritmo impressionante; vivevano una vita da
villaggio, obbedienti alla regola non scritta di una mutua
trasparenza, ciascuno esibendo se stesso, il ladro come il fallito,
la puttana come l'ubriaco».
Ho
parlato prima di "romanzo
di formazione",
in quanto i ragazzi, come risulta particolarmente evidente nella
narrazione, crescono e maturano in quella "comunione
umana confusa",
imparano a capire il mondo che li circonda, traendone numerosi
insegnamenti di vita, e in tal modo, si fortificano cercando di
comprendere come affrontare la morte, la malattia, la solitudine, la
disperazione, la follia.
L'autore
conferma di possedere uno stile originale, con una scrittura precisa
e ben articolata, forse ancor più matura rispetto alle precedenti
opere, ricca di descrizioni accurate di luoghi e sensazioni, ben
incanalate attraverso il punto di vista dei vari protagonisti. È un
romanzo denso di una poeticità malinconica che trapela da ogni
storia.
Con
le strampalate avventure del ladro Arnaldo, che del furto vorrebbe
fare la propria professione, ma che si ritrova alle prese con un
camion da rubare e una brutta sorpresa, emerge un racconto fortemente
ironico e scanzonato con un personaggio fuori dal comune che non
sembra volersi piegare alle avversità di un destino beffardo, ma ne
affronta le conseguenze cercando di mantenere sempre il suo "contegno
di ladro".
Tenera
e struggente è, invece, la storia del giovane Emilio che, per il suo
lieve ritardo mentale si sente rifiutato dal padre, deriso dai
coetanei e anche da persone più grandi, e cerca, quindi, di sfuggire
a tale triste realtà aggrappandosi all'oscurità della notte per
inseguire sogni e illusioni, urlando il suo amore disperato per una
ragazza.
La
signora Angela, ne "La
donna e i cani",
è la protagonista di un racconto malinconico, ma decisamente
istruttivo, che si concentra sul tema dell'abbandono dei cani, delle
sofferenze e delle sevizie che spesso tali animali subiscono per
opera di persone senza scrupoli. Angela con amore e dedizione si
prende cura di loro prima al canile e poi con le adozioni, e si
ritrova circondata dall'affetto e dalla comprensione dei ragazzini
della zona che,
dopo la morte di Biscotto, il primo cane adottato da Angela, si
sentono responsabili e partecipi, quasi volessero prendersi una
rivincita sulla morte.
"L'innamorato
riflesso in un vetro"
è, infine, la drammatica parabola di Desiderio, che vuol diventare
ricco e farsi re come il sovrano longobardo di cui porta il nome,
conosciuto studiando storia sui banchi di scuola. Ma Desiderio, in
questa sua corsa, finisce per costruirsi intorno una barriera che lo
porta a rifiutare la sua adolescenza, a opporsi a ogni coinvolgimento
sentimentale e a ogni perdita di tempo che potrebbe distrarlo dal suo
obiettivo, una barriera che, più in là con gli anni, mostrerà
tutta la sua fatale fragilità.
"Ripaferdine"
è, dunque, una narrazione corale di storie di persone sconfitte
dalla vita, che cercano un modo per essere un po' meno infelici, ma è
anche un racconto che ci parla dell'importanza della memoria. Non ci
si può illudere che il mondo, specialmente quello della propria
infanzia, possa rimanere per sempre inalterato e uguale a se stesso,
in quanto ogni progresso è inevitabile e ogni rimpianto è inutile.
Ma la memoria è un bene che nessuno può sottrarci e tentare di
salvarla, trasmetterla, diffonderla, diventa una necessità ineludibile.
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