domenica 11 giugno 2017

Elogio della testa fra le nuvole

Avere la testa fra le nuvole, vagare con la mente, superare i confini materiali e inoltrarsi in mondi fantastici, anche solo per evadere qualche minuto dalla noiosa realtà quotidiana. Non vi sarebbe alcun male, se non fosse che per qualcuno l'"essere distratti" è un grave difetto.
Io appartengo certamente a quella categoria di persone che amano distrarsi e fantasticare, salvo, poi, essere bruscamente interrotte da qualche parente che si sente indotto a chiedere "a cosa stai pensando?", neanche avesse colto qualcuno in flagranza di reato.
Per fortuna noi amanti delle soffici nuvolette possiamo sentirci confortati da uno studio dello psicologo neozelandese Michael C. Corballis, che afferma che avere la testa fra le nuvole è un elemento positivo per il proprio benessere, in quanto consente di riposarsi e recuperare energia e lucidità; accresce la nostra empatia con il mondo; ci permette di inventare e raccontare storie, di trovare collegamenti tra eventi e persone nello spazio e nel tempo. Secondo il Premio Nobel Joseph Brodsky è "la nostra finestra sull'infinità del tempo".
Tutte le argomentazioni di tale studio sono molto interessanti, soprattutto il riferimento alla possibilità di inventare storie, anche se dovrebbero essere considerate come scontate. Se ci pensiamo bene, molti filosofi e letterati venivano accusati di essere fuori dal mondo ed erano presi in giro perché avevano la testa fra le nuvole, salvo, poi, elaborare prodotti culturali di altissimo livello. Mi viene in mente Talete, il filosofo di Milete, descritto come una personalità multiforme, dotato di ingegno pratico e speculativo. Fu anche matematico e astronomo e proprio nell'osservare le stelle, secondo un celebre aneddoto a lui attribuito, cadde in un pozzo e venne deriso da una servetta.


Dunque, la testa fra le nuvole ci apre le porte verso la fantasia e la creatività. E magari, quando Susanna Tamaro ha ideato il suo romanzo di esordio intitolato proprio "La testa fra le nuvole", il messaggio che voleva comunicare era proprio questo.
Di certo, la storia creata dalla scrittrice triestina è, per certi aspetti, stravagante e fantasiosa. Il piccolo Ruben, appena nato, si lascia sfuggire un urlo sconsiderato che lo pone in profondo imbarazzo. I parenti che lo circondano, festanti per la sua nascita, a quell'urlo esplodono in sonore manifestazioni di gioia, per cui il piccolo si vergogna talmente tanto per il suo gesto inconsulto che si ripromette di non compiere mai più nella sua vita un'azione tanto fuori luogo, impegnandosi a trascorrere un'esistenza "tranquilla, ma tranquilla davvero".
Sicuramente, è abbastanza improbabile che un bambino nato da pochi minuti possa formulare pensieri così complessi, degni di un uomo già maturo. In realtà, tutto il romanzo della Tamaro è giocato sull'assurdo e sul non senso, con Ruben che sembra quasi felice di rimanere ben presto orfano perché ciò gli consentirà di attuare il suo proposito, chiuso nel suo mondo pacato e isolato.
Si trasferisce nella villa delle nonne e viene designato erede universale dal suo ricco zio americano, per cui il suo destino è già tracciato e la sua vita può procedere con la tranquillità tanto auspicata, sdraiato in una fossa tra la gloriette e i tigli.
Eppure, da quella posizione inizia a elaborare accurate riflessioni sulla legge di gravità e sulla possibilità di superarla, lanciando in aria giavellotti e sperando di ottenere prima o poi il risultato di farli librare in alto e vederli sparire verso il sole e le stelle. Ruben, seppure ci appare legato fortemente alla terra e a una vita tranquilla, si dimostra, in un certo senso, orientato verso il cielo, alla ricerca di una leggerezza che superi la gravità.
Ruben è davvero convinto che la sua vita sarebbe stata sempre "tranquilla, ma tranquilla davvero", ma un giorno un brutto incidente, in cui Oscar, il suo precettore viene colpito e ucciso per sbaglio da un giavellotto, costringe il ragazzo, ormai quindicenne, a staccarsi da quella terra e a fuggire, convinto di essere inseguito dalla polizia, andando incontro a personaggi sempre più strampalati.
Tra i tanti, incontra Ilaria, una signora priva di vista, che lo costringe a farle da aiutante e lo porta stretto a sé in giro per la città; Spartaco, ladro, affarista e privo di scrupoli, che lo deruba dei risparmi appena messi da parte; il Barone Aurelio, che per Ruben ha una particolare passione e lo assume come garcon de chambre, affinché si prenda cura di lui e della sua compagna.
Ruben, in tutte le sue avventure, si dimostra sempre ragazzo versatile, in grado di adattarsi a ogni situazione: perfetto stuntman in grado di compiere pericolose acrobazie, abile nei lavori casalinghi al servizio del Barone, esperto giardiniere nella villa di Margy, anziana vedova inglese.
E in questo particolare episodio, la Tamaro dimostra la sua passione per le scienze naturali con accurate e dettagliate descrizioni botaniche. In mezzo alla natura emerge anche il senso di solitudine di Ruben, il suo bisogno di colmare un vuoto esistenziale, con una sete di conoscenza che cerca di soddisfare rivolgendo al suo nuovo amico, lo scoiattolo Lucrezio, tante domande sul mondo e sul suo destino. Tante domande cui il piccolo Lucrezio sembra rispondere a modo suo.
L'avventura di Ruben è una continua e sorprendente sequenza di situazioni equivoche e bizzarre, situazioni che lo vedono sempre correre follemente nel tentativo di fuggire e liberarsi da quegli assurdi personaggi, per raggiungere, infine, la sua meta agognata, l'America, dove lo aspetta suo zio con l'eredità. Alla ricerca di quel sogno di leggerezza che si materializza nel pilota Arturo, stralunato cacciatore di parole perdute, che con il suo aereo gli farà attraversare l'oceano, alla scoperta del nome di quel sentimento che "nonostante tutto, permette di andare sempre avanti con occhi curiosi e attenti".