martedì 26 giugno 2018

Premio Strega 2018 – "Questa sera è già domani" di Lia Levi

Continuano le mie recensioni su alcuni dei dodici libri candidati al Premio Strega 2018, dopo i romanzi di Marco Balzano e Angela Nanetti.

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«Gli sembrava che tutto procedesse come se un treno, dopo aver deragliato, continuasse la sua corsa sul terreno. Infido, pericoloso, pieno di buche, ma pur sempre terra ferma e in qualche modo rassicurante. La spinta umana a rassegnarsi è davvero così forte? Quello che ieri era sembrato insostenibile, oggi si riusciva a inghiottirlo quasi senza fatica».
"Questa sera è già domani" (Edizioni E/O) di Lia Levi – finalista al Premio Strega 2018, nonché vincitore del Premio Strega Giovani - è un romanzo storico ambientato durante il periodo fascista e incentrato sulle vicende dei Rimon, una famiglia ebrea vittima delle persecuzioni antisemite e delle leggi razziali.
La storia della famiglia Rimon può ben paragonarsi alla corsa di un treno che inizia il suo viaggio placidamente, pur se tra piccoli conflitti e incomprensioni, in una città, Genova, apparentemente tranquilla, in cui il fascismo non sembrava destare particolari preoccupazioni, dal momento che «faceva parte di quasi tutte le loro vite, anche se magari in dosi variabili». E la famiglia sembra davvero procedere normalmente lungo il suo percorso fino a quando all'improvviso non incontra un ostacolo, quella Storia che si intromette nelle intime vicende personali e decide diversamente rispetto ai progetti prestabiliti creando uno sconvolgimento senza precedenti. 



«La normalità non sa di esserlo. Procede a tratti brevi, programmi abituali, iniziative di piccolo passo, non sai nemmeno se ti piacciono le cose che stai facendo». Almeno fino a quando la normalità non subisce un profondo strattone spostandosi su di un terreno più infido e scivoloso in cui la risoluzione di ogni problema sembra essere sempre più lontana.
Il romanzo di Lia Levi presenta una struttura classica, con una narrazione lineare e uno stile semplice e incisivo, che a tratti mostra una poeticità struggente, specialmente nello svelare i pensieri e le inquietudini del piccolo Alessandro, il protagonista principale, quel bimbo prodigio che appare come una luce attorno a cui si concentrano le attenzioni dell'intera famiglia, dei suoi genitori Emilia e Marc, degli zii Osvaldo e Wanda, del nonno Luigi.
Alessandro mostra sin da subito un'intelligenza e una sensibilità particolarmente spiccate, oltre che una precoce propensione alla scrittura e alla lettura, al punto che, una volta iscritto alla scuola elementare, si ritrova immediatamente a saltare da una classe all'altra, avendo già acquisito le nozioni necessarie, fino a giungere al ginnasio con due anni di anticipo.
È in quel momento che iniziano le sue prime difficoltà, quando tenta di instaurare rapporti di amicizia con ragazzi più grandi, già in età adolescenziale: il suo essere un bambino prodigio si rivela più che altro uno svantaggio che lo pone in una condizione di diversità, condizione legata anche alle sue origini ebraiche. E la descrizione della sua sensazione di solitudine è semplice, ma commovente: «Non c'era mai nessuno che avesse voglia di fargli compagnia. A loro non vado bene, non dico le frasi che bisogna dire, non so nemmeno quali sono queste frasi, se no magari fingerei. Scappo sempre prima di essere respinto, una felice trovata, così vinco io. Quella storia del troppo piccolo o troppo grande è una scusa, cerchiamo di essere almeno sinceri con noi stessi. Forse essere ebreo è questo. Tu li cerchi e fuggi, loro ti accettano e ti cacciano. Si sentiva diverso, a disagio, non su faccende di anni o di scuole ma dappertutto, in ogni angolo o punto di sé, anche nella maglietta del Genova che prima di andare all'edicola aveva voluto indossare per forza. Essere l'ebreo degli ebrei ... per questo, è vero, ci voleva un po' più di fantasia».



Il romanzo si presenta, dunque, come una commistione tra le vicende storiche e il mondo interiore di Alessandro, a partire da quel rapporto conflittuale con i suoi genitori che in qualche modo lo condiziona, soprattutto con sua madre Emilia che appare più interessata all'apparenza che all'essenza delle cose e sembra considerare le capacità di suo figlio come una specie di riscatto, di ricompensa per qualcosa che le era stato negato, fino al punto di accogliere quasi con rancore le prime incertezze scolastiche di Alessandro.
Il padre Marc, invece, si pone al lato opposto, con la sua tranquillità, che a volte viene scambiata per arrendevolezza di fronte alla irrequietezza e alla testardaggine della moglie, e il suo tentativo di trasmettere al figlio il desiderio di andare oltre le apparenze e di scoprire le verità celate dietro le mistificazioni di un regime dittatoriale.
La famiglia Rimon, pur tra tali conflitti, rimane unita nell'affrontare la tremenda sensazione di sentirsi stranieri in quella che veniva considerata fino a poco tempo prima la propria patria, privati, ormai, di ogni diritto. Lia Levi riesce magistralmente a far emergere tale sensazione di smarrimento, che si accompagna all'iniziale rifiuto di accettare la realtà, alla paura di affrontare il dolore e di scoprire l'orrore che si cela dietro un'apparente tranquillità, all'incertezza di chi non sa se sia meglio cogliere l'occasione e fuggire all'estero oppure rimanere nella speranza che ogni minaccia si attenui. Con quella rassegnazione che, secondo il giovane Alessandro, i suoi familiari sembrano ormai provare, come quel treno, nella citazione iniziale, che continua la sua corsa sul terreno infido e cerca di adattarsi.
Due episodi mi hanno colpito particolarmente riguardo a questo rifiuto di affrontare la verità e il dolore. Anzitutto quando il cognato Osvaldo corre a casa Rimon cercando di sminuire le preoccupazioni circa gli accadimenti di quei giorni e i provvedimenti contro gli ebrei, che continuavano a cadere "come quei goccioloni radi ma già carichi che preludono alla tempesta": «Be' – si affannava Osvaldo – vuol dire che se qualcuno si trova a casa tua, hai per lo meno diritto di sapere chi è e cosa fa. Ma questo non significa essere ostili nei suoi confronti.»; «Marc aveva simulato un silenzioso battito di mani e con quella sua voce, e un sorriso a mezz'aria, aveva solo mormorato: "Bravo! Sei proprio entrato in pieno nella loro mentalità"». 


E poi quando i Rimon accolgono una coppia ebrea fuggita con i loro due figli dall'Austria, ormai occupata dalla Germania nazista, e Alessandro cerca di conoscere i dettagli della loro fuga parlando in francese con la figlia maggiore, di nascosto dai loro padri che non volevano che quel dolore venisse svelato troppo.
La religione è un altro tema importante su cui il racconto si sofferma spesso, soprattutto nelle riflessioni di Alessandro, nonché in vari episodi che coinvolgono la sua famiglia.
«Quando poi compilerete il maledetto censimento, là dove c'è scritto "religione", provate pure. Potrete scrivere agnostico, libero pensatore, cultore di Bakunin o di Giove saturnino, per loro la traduzione sarà la stessa di noi che recitiamo lo Shenà due volte al giorno: razza ebraica». Uno studente rabbino così si rivolge a Marc e Osvaldo con un tono stranamente aggressivo, ma che serve a far capire loro che rinnegare la religione e i suoi riti non garantirà loro la salvezza.
Ma che ruolo ha la religione per il giovane Alessandro? Fin da piccolo non mostra una fede particolarmente profonda, ma, come gli farà notare il rabbino che lo introdurrà ai riti ebraici, appare comunque molto legato alla tradizione. Forse grazie anche alla nonna materna, ormai morta da diversi anni, che sempre aveva cercato di tener viva la memoria dei racconti della tradizione e che al nipote aveva lasciato in eredità una catenina con la stella ebraica. E quel legame con la tradizione sarà per Alessandro una fonte di contrasti interiori, soprattutto quando, forte del suo sentimento antifascista, cercherà di comprendere la dottrina comunista.
"Questa sera è già domani" è, dunque, un romanzo ricco di tensione emotiva, capace di suscitare sensazioni forti pur nel suo stile sobrio e mai enfatico. Un libro attuale da leggere per comprendere a quale livello di esasperazione possa essere condotto un popolo a causa di folli discriminazioni e persecuzioni. 

domenica 3 giugno 2018

Premio Strega 2018 – "Il figlio prediletto" di Angela Nanetti

Continuano le mie recensioni su alcuni dei dodici libri candidati al Premio Strega 2018. (Nei precedenti post un quadro generale dei dodici autori candidati e la recensione del romanzo di Marco Balzano).

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«Londra appariva un'altra, senza la durezza del giorno, e per la prima volta lui si sentì libero. Dal dolore e dai ricordi, ma anche dalla vita che aveva condotto fino a quel momento, compressa come una cella di prigione, fatta di Marie e di Carminucce e di preti come padre Luigi, che imponevano l'ora del ritiro. E forse per quella luce strana, forse per quei suoni di chitarra, sentì all'improvviso forte e dolorosa la voglia di riprendersi il mondo».
Il desiderio di riprendere in mano la propria vita, la voglia di liberarsi dall'opprimente peso dei ricordi che continuano a tormentare o di allontanarsi dai condizionamenti familiari per ritrovare la propria identità, con Londra a rappresentare una meta ideale, un punto di netta separazione dalla precedente vita, pur se con un percorso interiore complesso e non privo di ostacoli. Sono questi i temi che costituiscono il nucleo essenziale de "Il figlio prediletto" (Neri Pozza), romanzo di Angela Nanetti candidato al Premio Strega 2018.
Tutto ha inizio in una terribile e spietata notte di inizio giugno del 1970, in cui Nunzio e Antonio, promettenti calciatori e compagni di squadra in un piccolo paese della Calabria, vorrebbero semplicemente vivere il loro amore, quella passione scoppiata all'improvviso alcuni mesi prima e che i due ragazzi non avevano potuto fare a meno di assecondare. Una passione vissuta di nascosto, tra segreti e gioie, "ansia non detta e futuro cancellato", perché nei loro ambienti nessuno avrebbe potuto capire e molti avrebbero condannato. Ma la condanna, tremenda e ineluttabile, arriva comunque dalla famiglia di Nunzio, i Lo Cascio, una famiglia appartenente alla 'ndrina, alla malavita locale, che non esita a mandare propri uomini a uccidere Antonio, lasciandolo cadavere di fronte a Nunzio. Il ragazzo, sconvolto e incredulo, non può far altro che vegliare il suo amato fino all'alba, ovvero fino a quando suo fratello Santino non arriva a prenderlo e solo in quel momento tutto appare chiaro.


Questo episodio costituisce il prologo di un romanzo particolare, che si compone di due storie distinte, collocate su piani temporali diversi, storie che all'inizio si svolgono parallelamente, ma che finiscono a un certo punto per intrecciarsi. Ma il dolore e il desiderio di ribellione e rivalsa dei due protagonisti, Nunzio e Annina, hanno la stessa origine, quella famiglia spietata che non ammette che qualcuno possa infrangere le proprie regole.
La storia di Nunzio viene narrata in terza persona, con uno stile che fonde precisione e poeticità, volto a far emergere quella malinconia di fondo di un giovane che a venti anni si sente già sconfitto e avverte la pesantezza di un dolore che si porta dietro e finisce quasi per schiacciarlo: «Il vecchio sembrava aver capito che il mondo gli aveva mostrato all'improvviso la faccia più feroce, quella di un padre e due fratelli che gli avevano spezzato le ossa a una a una. E niente dentro di lui teneva più: non la fiducia negli uomini, non la speranza di futuro, nemmeno la sua identità. Di Nunzio Lo Cascio era rimasto solo un mucchio di carne dolorante, che chiedeva di non avere ricordi né pensieri. Dormire, solo questo voleva».
Nunzio dopo quella terribile notte è costretto a partire per Londra. I suoi familiari lo hanno mandato via, lontano dal suo paese, forse per punizione o per evitare qualsiasi indiscrezione sulla sua omosessualità, una macchia per il loro onore. E Nunzio di tale allontanamento in fondo appare contento: come avrebbe potuto vivere con il padre e i fratelli dopo ciò che gli hanno fatto, con l'orrore della morte di Antonio sempre davanti agli occhi?


Le tappe che caratterizzano il percorso interiore di Nunzio coincidono con la comparsa di alcuni personaggi che diventano per lui fondamentali. Sullo sfondo, la Gran Bretagna in un periodo di crisi economica, di elevata disoccupazione e di numerosi scioperi, scanditi dalle rivendicazioni sindacali, periodo che culmina nell'elezione di Margaret Thatcher a primo ministro del Regno Unito nel 1979.
In quegli anni Nunzio, fallita ogni possibilità di intraprendere l'attività calcistica per un infortunio, conosce dapprima Thomas, figlio di un lord che rinnega le sue origini e si dedica con ardore alla lotta comunista. E con lui stringe un rapporto di amicizia intenso e sincero che gli consente finalmente di risollevarsi e ritrovare la tranquillità e la voglia di vivere, oltre che appassionarsi alle tematiche sociali.
In seguito, si ritroverà alle prese con un altro stravagante personaggio, che si rivelerà comunque molto importante per lui, un artista poliedrico, fotografo, pittore e musicista da tutti soprannominato 'Funny Jack': «un uomo di età indefinibile, tra i quaranta e i cinquanta, di un biondo rossiccio, anche sul petto villoso che esibiva dalla camicia bianca sbottonata, lo stomaco del bevitore e un vistoso orecchino al lobo sinistro che gli dava un'aria piratesca». Un mentore che non esiterà ad aiutare Nunzio nel momento del bisogno, facendogli scoprire il mondo della fotografia.
Nel cuore e nella mente di Nunzio Antonio è sempre presente, un ricordo misto all'orrore e anche a un certo rimorso, sensazioni che il giovane cerca man mano di far colar via dal suo corpo. La piena accettazione della propria omosessualità e le passioni appena scoperte sono per lui una forma di riscatto da quel tremendo passato che si porta dietro.
Nel frattempo prende avvio anche la storia di Annina, narrata in prima persona con un linguaggio più immediato e denso di espressioni dialettali. Nipote di Nunzio in quanto figlia di suo fratello Santino, nella sua innocenza di bambina non può comprendere l'orrore che la circonda, ma crescendo dovrà toccare con mano la "tranquilla ferocia" di cui suo padre può essere capace. Nunzio non lo ho mai conosciuto, è andato via quando ancora non era nata, ma il suo nome risuona spesso nelle parole di sua nonna Carmela, madre di Nunzio e Santino. 


La vita di Annina, scandita dalle imposizioni familiari, con un padre che cerca di controllarne ogni mossa e una nonna che condanna ogni sua velleità artistica, viene scossa da un inevitabile moto di ribellione, una fuga a Londra per inseguire il sogno di diventare attrice di teatro, un percorso che sarà segnato dalla presenza di altri uomini che cercheranno di sfruttarla e di imporre la propria volontà. Le storie di Annina e Nunzio, pur se in modo particolare, si intrecceranno nel momento in cui Annina si metterà alla ricerca delle tracce di suo zio e di coloro che lo hanno conosciuto.
Come ho accennato sopra, entrambi i protagonisti sono alla ricerca di un riscatto rispetto alla loro precedente esistenza per allontanarsi dai condizionamenti familiari, pur seguendo un percorso completamente diverso. Nunzio in qualche modo subisce l'allontanamento dal suo paese, ma coglie tale occasione per rinascere e buttar via l'orrore che si porta dietro, grazie anche agli amici che incontra lungo il sentiero. E il destino che appariva così avverso in alcuni momenti sembra volerlo aiutare, cercando di portare la sua felicità a un apice oltre il quale non può esserci più nulla. Annina, invece, ha bisogno di uno strappo, di un gesto di ribellione per avviarsi verso quel riscatto, che sembra finalmente concretizzarsi solo quando deciderà di capire meglio chi era suo zio Nunzio. Forse anche con lei il destino avverso a un certo punto sembra voler essere benevolo.
"Il figlio prediletto" è un romanzo denso di malinconia e di speranza, con personaggi ben caratterizzati, in bilico tra lo scoraggiamento e il desiderio di rivincita, tra cadute e rincorse, accompagnato da una narrazione non sempre lineare, fatta di anticipazioni, strappi, immagini forti, visioni sconsolate o luminose, in cui appare chiaro che la ferocia dei prepotenti non sempre riesce a piegare l'animo di chi ha realmente voglia di vivere.