domenica 20 maggio 2018

Premio Strega 2018 – "Resto qui" di Marco Balzano

In un precedente post avevo riportato alcune brevi note sui dodici candidati al Premio Strega 2018 (cenni biografici, sinossi, giudizio formulato dall'"Amico della Domenica" che ha segnalato il romanzo). In questo post e nei prossimi riporterò man mano le recensioni su alcuni dei libri candidati che ho avuto modo di leggere.

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«Fino a quel momento, specie in queste valli di confine, la vita era scandita dai ritmi delle stagioni. Sembrava che quassù la storia non arrivasse. Era un'eco che si perdeva. La lingua era il tedesco, la religione quella cristiana, il lavoro quello nei campi e nelle stalle. [...] Mussolini ha fatto ribattezzare strade, ruscelli, montagne ... sono andati a molestare anche i morti, quegli assassini, cambiando le scritte sulle lapidi. Hanno italianizzato i nostri nomi, sostituito le insegne dei negozi. Ci hanno proibito di indossare i nostri vestiti».
Nel romanzo "Resto qui" (Einaudi), candidato al Premio Strega 2018, Marco Balzano narra una storia vera di violenza e invasione, uno scontro, avvenuto all'inizio del ventennio fascista, tra "la prepotenza del potere improvviso e chi rivendica radici di secoli", nel momento in cui Mussolini iniziò a occupare il Sudtirolo con un processo di forzata italianizzazione.
Tali fatti storici, a loro volta, si intrecciano indissolubilmente con le vicende intime e quotidiane di Curon, un piccolo paese del Trentino, i cui abitanti, abituati alla tranquilla faticosità del loro lavoro nei campi, con il bestiame da allevare e la terra da coltivare, si sono sempre sentiti protetti dalle montagne intorno, in una condizione di isolamento che li ha posti al riparo persino nel corso del primo conflitto mondiale, illudendosi che non vi sarebbero più state altre guerre. Ma con l'invasione fascista gli abitanti non riescono a reagire ai soprusi di chi vorrebbe privarli della lingua e del lavoro e pian piano finiscono per perdere la loro identità: «Ci eravamo abituati a non essere più noi stessi. La nostra rabbia cresceva, ma i giorni correvano veloci e il bisogno di sopravvivere la trasformava in qualcosa di debole e sfibrato».


La narrazione avviene in prima persona con una prosa che in alcuni punti si avvicina al linguaggio parlato, ma che non perde di scorrevolezza e precisione. La voce narrante è quella della protagonista Trina, una donna sensibile e appassionata di libri, ma che nutre un profondo timore per il futuro, al punto che a volte preferirebbe chiudersi nella propria stanza, fermare il tempo e aspettare.
Trina studia per diventare insegnante, nonostante l'invasione fascista abbia riservato agli italiani tutti i posti all'interno delle scuole, e, pur con il pericolo imminente di essere scoperta e imprigionata, inizia a insegnare clandestinamente il tedesco ad alcuni bambini. Il suo sguardo attento, rivolto alla drammatica situazione che si profila all'orizzonte, restituisce al lettore riflessioni semplici, ma significative, come quella sulle lingue, divenute 'marchi di razza', trasformate dai dittatori in armi, dichiarazioni di guerra, muri continuamente innalzati.
Suo marito Erich è, invece, un uomo schivo e di poche parole, ma nello stesso tempo deciso e combattivo, che, oltre a cercare di non farsi sopraffare dalla prepotenza degli invasori, deve contrastare la pervicace indifferenza dei suoi compaesani, che, chiusi nella loro quotidianità, non riescono ad avvertire il pericolo imminente: «La gente con un dito sulle labbra lascia ogni giorno che l'orrore proceda. [...] L'uomo col cappello scosse le spalle e annuì con convinzione. La conosceva bene la gente lui che tutta la vita girava il mondo. Era uguale ovunque, assetata solo di tranquillità. Contenta di non vedere».


Trina e Erich rimangono uniti nel combattere contro coloro che vorrebbero staccarli dalle proprie radici, cercando di difendere la terra in cui sono nati e insieme affrontano ogni decisione o avversità, dal rifiuto della proposta tedesca di trasferirsi nel Reich alla fuga sulle montagne durante il conflitto, fino al progetto della Montecatini di realizzare una diga per poter sfruttare la corrente del fiume e produrre energia, un progetto che, tuttavia, comporta il rischio che i paesi di Resia e Curon vengano sommersi dall'acqua.
Nel corso di tali vicissitudini emerge un dolore, dapprima acuto e lancinante poi sempre più sottile, che arriva da un distacco improvviso e della cui presenza ci accorgiamo fin dalle prime righe. Una figlia cui Trina si rivolge continuamente in seconda persona e che all'improvviso scompare. Un tormento che viene descritto in tutte le sue sfumature e i suoi contrasti, dalla speranza che diviene sempre più labile alla rabbia di una madre convinta che ogni sventura sia causata da quel distacco fino al desiderio di bruciare tutti i pensieri e gli incubi che la perseguitano assieme a quel quaderno dove per anni ha continuato a scrivere alla sua bambina. Un dolore che si accompagna ossessivamente a tutte le vicende del romanzo, divendendone quasi il nucleo essenziale.
"Resto qui" è, dunque, un romanzo intenso e sincero, forte di una scrittura limpida ed essenziale, che diventa sempre più solida con lo scorrere delle pagine, efficace nel sottolineare la tensione emotiva dei protagonisti, il dolore che li accompagna continuamente, i timori e le angosce spazzati via dal coraggioso desiderio di andare avanti. Un romanzo che affronta numerose e delicate tematiche, partendo da un approfondimento storico serio e rigoroso, e da cui emerge una ferma condanna verso coloro che, inseguendo esclusivamente logiche di ricchezza e potere, hanno cercato di sovvertire l'identità linguistica e culturale di una popolazione e, per i propri interessi economici, hanno con violenza sradicato intere famiglie dai propri territori.

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