giovedì 31 maggio 2018

Le peripezie letterarie dell’Accademia svedese

In questi giorni è stato reso noto che forse anche per il 2019 non avrà luogo l’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura. Infatti, il direttore della Fondazione Nobel ha affermato che il premio verrà assegnato solo nel momento in cui l'Accademia svedese, in grave crisi per scandali sessuali e finanziari, riacquisterà la fiducia delle persone.
Si potrebbe discutere a lungo su tale decisione di non assegnare il premio, se si tratti di una scelta squisitamente politica o dettata da effettive esigenze organizzative. Ciò che è certo è che tale evento ha contribuito ulteriormente a mettere in discussione il premio stesso.
Già in occasione della recente morte del celebre scrittore Philip Roth (che non mai ricevuto quel premio nonostante la spasmodica attesa ogni anno da parte di diversi addetti ai lavori e lettori, accompagnata da una certa ironia) molti si sono interrogati sulla validità e sulla significatività del premio stesso, chiedendosi se l’Accademia svedese possa realmente valutare quali scrittori nell’ambito della letteratura mondiale siano meritevoli di tale onorificenza.
Personalmente, non sarei in grado di dare una risposta, sicuramente ho apprezzato diversi scrittori che in passato hanno vinto tale premio. Penso ai nostri grandi letterati (Giosuè Carducci, Grazia Deledda, Luigi Pirandello, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale) o ad autori che hanno profondamente arricchito la scena letteraria mondiale (Pablo Neruda, Samuel Beckett, John Steinbeck, Albert Camus e molti altri).


Comunque, grazie a un articolo del quotidiano online “Il Post” (20 ottobre 2015), tempo fa ho avuto modo di leggere un breve saggio di Tim Parks dedicato al Premio Nobel per la letteratura (contenuto nella raccolta “Di che cosa parliamo quando parliamo di libri”- UTET) che mi ha fornito interessanti spunti di riflessione. In tale articolo Parks ha messo in luce le criticità e le contraddizioni di tale Premio con considerazioni condivisibili, soprattutto di ordine pratico.
Ecco alcuni estratti del saggio: “Proviamo a immaginare la quantità di letture richieste. Supponiamo che ogni anno vengano nominati cento scrittori, un’ipotesi plausibile, e che di ciascuno i membri della giuria cerchino di leggere almeno un libro. Trattandosi di un premio indirizzato all’intera opera di un autore, ipotizziamo che, una volta ridimensionato il numero dei candidati, i membri leggano due libri di ciascuno dei restanti, poi tre, quattro e così via. È probabile che ogni anno si ritrovino a leggere intorno ai duecento libri (in aggiunta al loro consueto carico di lavoro). Di questi, pochissimi saranno scritti in svedese … Adesso fermiamoci un attimo e immaginiamo i nostri professori svedesi, chiamati a difendere la purezza della lingua nazionale, che confrontano un poeta indonesiano, magari tradotto in inglese, con un romanziere del Camerun, disponibile solo in francese, un altro che scrive in afrikaans ma è pubblicato in tedesco e in olandese, e infine una celebrità del calibro di Philip Roth, ovviamente disponibile in inglese, ma che i giurati potrebbero benissimo essere tentati, se non altro per un senso di spossatezza, di leggere in svedese. È un compito invidiabile il loro? Ha poi tanto senso? … Come affrontiamo l’impresa? Cercando qualche criterio semplice e ampiamente condivisibile che ci aiuti a liberarci di questa seccatura. E poiché, per citare ancora Borges, l’estetica è complessa e richiede una sensibilità speciale, mentre l’affiliazione politica è più semplice e rapida da afferrare, cominciamo con l’inquadrare le aree del mondo che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, magari per un’agitazione politica o perché accusate di violazioni dei diritti umani; troviamo gli autori che si sono già guadagnati una bella dose di rispetto e magari anche qualche premio importante nella comunità letteraria di quei paesi, e che si sono schierati apertamente dalla parte giusta dello scontro politico in questione, e li selezioniamo.”.


Dunque, secondo Parks l’Accademia svedese si troverebbe nell’impossibilità di adottare un criterio puramente estetico, considerata l’estrema difficoltà di una selezione basata su una approfondita disamina degli scrittori potenzialmente meritvoli di premiazione. Il criterio adottato sarebbe, dunque, di carattere più politico. D’altronde, secondo le intenzioni iniziali, tale premio sarebbe dovuto andare all'autore nel campo della letteratura mondiale che "si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale". Tale direzione ideale può tranquillamente essere quella descritta da Parks.
Negli anni non sono mancate, ovviamente, le sorprese e le polemiche. Come ho avuto modo di scoprire con una semplice ricerca sul web, sorpresa vi fu già con il primo premiato, il poeta francese Sully Prudhomme che fu insignito del primo Premio Nobel per la letteratura nel 1901, mentre erano molto favoriti scrittori come Émile Zola e Lev Tolstoj. D'altronde, altri celebri scrittori non lo hanno mai vinto. Soltanto per citarne alcuni: Marcel Proust, James Joyce, Louis-Ferdinand Céline, Vladimir Nabokov, oltre, ovviamente, a Philip Roth.
Polemiche vi furono anche per la premiazione di Dario Fo (molti rappresentanti della cultura italiana da anni patrocinavano la candidatura di Mario Luzi, mentre il critico letterario Harold Bloom lo definì semplicemente ridicolo) e di Elfriede Jelinek, scrittrice austriaca la cui opera, secondo Parks, è da considerarsi feroce e spesso indigesta.
Parks conclude parlando di sostanziale futilità del Nobel, che non andrebbe preso troppo sul serio: “diciotto (o sedici) cittadini svedesi avranno una certa credibilità quando si tratta di valutare opere letterarie svedesi […] ma può davvero esistere un gruppo in grado di comprendere l’infinita varietà di opere appartenenti a così tante tradizioni diverse?”. Eppure, credo che in questi due anni l'attesa della premiazione con immancabile pronostico un po' ci mancherà.


Nessun commento:

Posta un commento