giovedì 30 agosto 2018

Eventi casuali e storie da raccontare: "La panne"

«Ci sono ancora storie possibili, storie per scrittori?». È questo il quesito, a tratti allarmante, che lo scrittore Friedrich Dürrenmatt pone all’inizio del suo delizioso racconto “La panne”. È una domanda che, in realtà, nasce da alcune considerazioni sui possibili temi che un autore può affrontare nel realizzare le sue opere, considerazioni che si basano su una determinata logica.
Si inizia tale ragionamento escludendo che un autore voglia parlare di sé, raccontare le proprie “speranze e sconfitte”. Si ipotizza, invece, che voglia lavorare al proprio tema ponendosi “come uno scultore di fronte alla materia da cui trarre una statua”. Tale limitazione finisce necessariamente per trasformare la scrittura in un mestiere irto di notevoli difficoltà.
Escludendo, poi, di dedicarsi a valori elevati, moralità e sentenze di facile uso, per rimanere, piuttosto, sulla superficie, lo scrittore si chiede cosa altro vi sia da raccontare e arriva, quindi, a constatare che il destino ha ormai definitivamente abbandonato la scena artistica appostandosi dietro le quinte, per cui vi sono soltanto incidenti, eventi che accadono casualmente senza alcun legame con il fato, con l’insieme dell’universo. Proprio questi accadimenti potrebbero formare oggetto della scrittura.



Ed è proprio da un evento casuale, una panne, che la storia narrata prende avvio. Il racconto, dopo tale interessante prologo, parte subito con l’incidente di lieve entità che coinvolge Alfredo Traps, un rappresentante di articoli tessili, un guasto alla sua auto che lo costringe a pernottare in paese.
L’uomo inizia, quindi, a girare per il ridente villaggio ai cui margini si trova l’officina cui ha appena affidato la sua auto per le necessarie riparazioni, non senza prima aver espresso una certa ironia nei confronti della categoria dei meccanici: «Traps fumò una sigaretta e poi fece quanto gli restava ormai da fare. Il meccanico che rimorchiò infine la Studebaker disse che non avrebbe potuto riparare il guasto, un difetto all'alimentazione, prima dell'indomani. Non c'era modo di sapere se fosse davvero così né era prudente tentare di scoprirlo: siamo alla mercé dei meccanici come i nostri antenati erano alla mercé dei predoni e, ancora prima, delle divinità locali e dei demoni»
È, dunque, il caso che lo induce a fermarsi in quel simpatico paesello, oltre al desiderio di un’avventura galante. Ed è sempre il caso a condurlo presso una villa in cui riceve ospitalità per la notte. Una villa di proprietà di un giudice in pensione, in cui, come di consueto, vengono ospitati altri tre bizzarri personaggi, un pubblico ministero, un avvocato difensore e un boia, tutti ormai giunti a quell'età in cui diviene necessario cessare la propria età lavorativa.
I quattro personaggi, come avrà modo di scoprire molto presto il rappresentante tessile, sono soliti inscenare, per trascorrere il loro tempo libero ormai dilatato, i grandi processi della storia (Socrate, Gesù, Giovanna D'Arco, Dreyfus), ciascuno nel ruolo ricoperto durante la propria attività lavorativa. E quando un ospite si unisce a loro, questi diviene il principale imputato, con un divertimento di gran lunga maggiore, considerato lo sforzo per ricostruire il delitto commesso e decidere quale pena applicare.



Il geniale racconto, nella coinvolgente sequenza narrativa, pone in evidenza la totale ingenuità di Alfred Traps che, nonostante le raccomandazioni dell'avvocato difensore e l'invito alla cautela, viene invischiato in pieno nel processo e irretito dal vortice delle domande del pubblico ministero, che ricava ogni elemento utile per la definizione della causa, con accusa di colpevolezza, dal racconto di Traps su eventi della propria vita. Eventi che mostrano come il rappresentante tessile sia un uomo dagli orizzonti assai limitati al punto da non avere piena consapevolezza e coscienza della spregiudicatezza di certe sue condotte e dei relativi effetti.
In un certo senso, i suoi quattro compagni di una serata dalle abbondanti libagioni e dalle sconvenienti confessioni, sembrano porre in atto un processo catartico, con una presa di coscienza delle conseguenze delle proprie azioni e delle relative responsabilità, consentendo la visione di un orizzonte di giustizia che sembra porsi al di là della giustizia ordinariamente gestita dagli uomini con procedure burocratiche.
"La panne" è un racconto coinvolgente e accattivante, a tratti paradossale, con una costruzione narrativa estremamente lucida e densa di ironia, che sembra quasi dimostrare un teorema: mettendo da parte il destino e le leggi universali e partendo da un incidente casuale, si arriva comunque a percorrere una sequenza di eventi che dal particolare giunge all'universale, dal circoscritto ed egoistico ambito personale perviene, seppure con una certa bizzarria, alla scoperta di un ideale di giustizia.

domenica 5 agosto 2018

Il libro del mese – "Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque

«Dovevano essere per noi diciottenni tutori e guide all'età virile, condurci al mondo del lavoro, al dovere, alla cultura e al progresso; insomma all'avvenire. Noi li prendevamo in giro e talvolta facevamo loro dei piccoli scherzi, ma in fondo credevamo a ciò che ci dicevano. Al concetto dell'autorità di cui erano rivestiti, si univa nelle nostre menti un'idea di maggior saggezza, di più umano sapere. Ma il primo morto che vedemmo mandò in frantumi questa convinzione. Dovemmo riconoscere che la nostra età era più onesta della loro, che ci sorpassavano soltanto nelle frasi e nell'astuzia. Il primo fuoco tambureggiante ci rivelò il nostro errore, e fece crollare la concezione del mondo che ci avevano insegnato».
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" di Erich Maria Remarque è uno straordinario romanzo sugli orrori e sull'assurda follia della Prima Guerra Mondiale, un romanzo che indubbiamente risente dell'esperienza personale dell'autore, che nel 1916 fu spinto ad arruolarsi volontariamente e nel 1917 fu spedito sul fronte occidentale, dove rimase gravemente ferito.
Il romanzo ruota intorno alle vicende di quattro ragazzi, Paul Baumer, la voce narrante, Albert Kropp, ritenuto il più intelligente del gruppo, Muller, che in caserma e sul fronte ancora si tirava dietro i suoi libri di scuola sognando una sessione di esami di emergenza, Leer, barbuto e con una predilezione per le ragazze dei bordelli riservati agli ufficiali. Quattro diciottenni, compagni di scuola, che decidono di arruolarsi volontariamente e di recarsi a combattere al fronte, spinti dai discorsi esaltati del loro professore, Kantorek, che cerca in ogni modo di imprimere loro il senso del dovere verso la patria e la necessità di difenderla da ogni pericolo.


Kantorek era un idealista, come ve ne erano tanti all'epoca, che si considerava favorevole all'intervento in guerra pur rimanendo in patria e, ammantato di una parvenza di saggezza, aveva creato nelle menti dei giovani in procinto di arruolarsi un mondo illusorio, destinato a crollare con il primo compagno morto, colpito da una granata.
La narrazione si apre immergendoci subito negli orrori della guerra, con un apparente cinismo che vuol essere un modo per fuggire mentalmente da quella barbarie, cercando gli aspetti positivi e inseguendo una sensazione di leggerezza. I giovani soldati hanno appena ricevuto il cambio al fronte e stanno facendo ritorno nelle retrovie, dopo aver ricevuto un duro attacco da parte dei nemici e aver subito numerose perdite. Eppure mettono da parte lo spavento e il dolore e si aggrappano a tutto ciò che di positivo ci può essere, come una doppia razione di rancio, una sigaretta in più, un paio di stivali, pensando alla possibilità di starsene alcune ore tranquilli all'aria aperta a leggere, a giocare carte e a parlare.
Il dramma di questi ragazzi, come viene ribadito più volte nel romanzo, soprattutto nelle riflessioni di Paul, è il non aver fatto in tempo a mettere radici, essendo troppo giovani per creare progetti in vista dell'avvenire e per costruire propri saldi punti di riferimento: si sono presentati al fronte rivestiti di ideali romantici, ben presto distrutti e soppiantati da un senso pratico che rischia di farli apparire spietati. Illuminante in tal senso è un episodio di cui è protagonista Muller, che appare quasi ossessionato dal desiderio di difendere gli stivali del compagno in fin di vita.
Questo senso pratico deriva loro soprattutto dall'addestramento: «Divenimmo duri, diffidenti, spietati, vendicativi, rozzi; e fu un bene: erano proprio quelle le qualità che ci mancavano. Se ci avessero mandato in trincea senza quella preparazione, la maggior parte di noi sarebbe impazzita. Così invece eravamo preparati a ciò che ci attendeva»



In questo contesto, diventa forte il legame che Paul e i suoi compagni stringono con altri soldati, un legame fatto di sostegno reciproco, di confidenze e di conforto pur di fronte al dolore e alla morte. Un rapporto che si concretizza anche in accese discussioni su svariati e interessanti temi, partendo dal tentativo di spiegare perché uomini modesti nella vita ordinaria diventano spietati tormentatori in caserma, per poi arrivare alla ricerca dei motivi che spingono i Paesi a dichiararsi guerra.
Il legame è molto forte soprattutto con Katczinsky, il capo della squadra, tenace e scaltro quarantenne, che riesce a cavarsela in ogni situazione, capace di trovare ovunque i mezzi per sopravvivere, soprattutto cibo in abbondanza, un vero emblema del cameratismo: «Anziché spezzarci ci adattammo, aiutati in questo dai nostri vent'anni, che pure ci rendevano tanto duri altri sacrifici. Ma importante fu che tra noi venne in tal modo sviluppandosi un forte sentimento di solidarietà, il quale poi al fronte si innalzò a quanto di meglio abbia prodotto la guerra: il cameratismo»
Nel romanzo la caratterizzazione dei personaggi è molto forte: Remarque non manca mai di presentarci i suoi protagonisti con pennellate decise, con quei tratti che li contraddistinguono e li accompagnano nelle alterne vicende belliche. Ma la forza della narrazione risiede soprattutto nella capacità di scolpire immagini indelebili, forti e crude, oppure ilari e spassose, spesso dense di una poeticità struggente, in grado di far rivivere le sensazioni di smarrimento di ragazzi al fronte che, privi di saldi punti di riferimento, non riescono a intravedere un futuro e si sentono ormai perduti.


Si alternano le descrizioni dettagliate degli scenari e delle operazioni di guerra, con una precisione tecnica accompagnata da una tensione emotiva che trapela con violenza. Paul pensa al fronte come a un orribile gorgo che attrae con forza, ma nello stesso tempo benedice la terra che lo protegge e in cui si ritrova avvolto contro il pericolo delle schegge che piovono continuamente, spinto da un atavico istinto di sopravvivenza che di seguito viene descritto con grande maestria: «Al fischio delle prime granate, al primo strappo dell'aria solcata dalle detonazioni, subito nelle nostre vene, nelle mani, negli occhi è come un'attesa sommessa, un origliare, un essere più svegli, una singolare duttilità dei sensi: all'improvviso tutta la persona si trova in piena efficienza».
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" è, dunque, un capolavoro della letteratura mondiale, un romanzo che necessità di una lettura lenta, affinché ogni immagine, ogni pagina possa sedimentare dentro. È il racconto di una generazione perduta a causa della guerra, ragazzi strappati alla loro vita e mandati al fronte, purtroppo consapevoli che se anche venisse loro restituito il paesaggio della loro gioventù, non saprebbero goderne, ormai completamente slegati dal loro mondo iniziale: «abbandonati come bambini, disillusi come anziani, siamo rozzi, tristi, superficiali. Io penso che siamo perduti». E questa sensazione Paul la sperimenta durante la prima licenza trascorsa a casa.
È, in conclusione, una narrazione di vicende belliche che sa tradursi splendidamente in poesia tenera e tragica: «Un piccolo soldato e una voce benevola, e se gli faceste una carezza, forse non vi capirebbe più: ha gli scarponi ai piedi e il cuore pieno di terra; e marcia così, e ha tutto dimenticato fuorché il marciare. Non sono forse fiori quelli all'orizzonte, e un paesaggio così quieto che gli viene voglia di piangere, al soldato? Non ci sono forse là immagini che lui non ha perduto perché non le ha mai possedute? Immagini che lo turbano, ma che per lui sono passate via? Non sono forse là i suoi vent'anni?»