venerdì 20 aprile 2018

Premi Pulitzer e scrittori ritrovati

In questi giorni si è parlato molto dell'assegnazione dei Premi Pulitzer per l'anno 2018. Come è noto, il premio Pulitzer è un ambito premio statunitense, la più prestigiosa onorificenza nazionale assegnata in varie categorie (attualmente 21), principalmente per il giornalismo, i successi letterari e le composizioni musicali.
Venne istituito da Joseph Pulitzer, giornalista e magnate della stampa statunitense, che alla sua morte, avvenuta nel 1911, lasciò l'intero patrimonio alla Columbia University di New York che da allora si occupò di gestire il premio, assegnato per la prima volta nel 1917.
Per la narrativa, il premio è stato assegnato a partire dal 1918, quale "Premio Pulitzer per il romanzo" a un romanzo scritto da un autore statunitense. Dal 1948 il premio ha modificato la propria denominazione in "Premio Pulitzer per la narrativa", continuando a essere assegnato a un'opera di narrativa di un autore statunitense, che tratti in preferenza della vita americana.
Tra le principali opere premiate nel corso dei decenni: "L'età dell'innocenza" di Edith Wharton (1921); "Via col vento" di Margaret Mitchell (1937); "Furore" di John Steinbeck (1940); "Il vecchio e il mare" di Ernest Hemingway (1953); "Il buio oltre la siepe" di Harper Lee (1961); "Il dono di Humboldt " di Saul Bellow (1976); "Pastorale americana" di Philip Roth (1998).
Quest'anno il Premio Pulitzer per la narrativa è stato assegnato ad Andrew Sean Greer con il romanzo "Less" (edito in Italia dalla Nave di Teseo).


Andrew Sean Greer, nato a Washington nel 1970, è uno scrittore che ho scoperto casualmente anni fa. Ricordo che mi trovavo a Bari per lavoro, passeggiavo lungo la principale via del centro in una calda serata di fine maggio quando venni attratto dalle sfavillanti luci di una invitante libreria Feltrinelli. Dentro vi era un certo fermento, che lasciava presagire la presenza di un personaggio importante. Quella sera, infatti, il cantante Mario Venuti presentava il suo nuovo disco.
Io mi fiondai nel settore "narrativa". Avevo appena terminato un libro (un romanzo di Peter Cameron se non ricordo male) e fui incuriosito da questo titolo di Andrew Sean Greer, titolo apparentemente semplice e lineare, "La storia di un matrimonio". Mi convinse soprattutto la recensione in quarta di copertina, in cui si parlava di un'ansia arcana che percorreva la lettura in un susseguirsi di colpi di scena, con il giudizio finale di Antonio D'Orrico: "Romanzo di superba reticenza, che fa del non detto una strategia narrativa emozionante".
Lo acquistai subito, lo lessi nei giorni successivi e lo trovai semplicemente splendido e coinvolgente. Effettivamente nel corso della lettura provai quella sensazione ansiosa e quasi claustrofobica cui accennavo sopra, rapito dalle emozioni dell'appassionante storia di Pearlie e del suo amore per Hollande, un uomo bello e pieno di lati nascosti. Pearlie con il suo sguardo lucido e disincantato semina pian piano lungo le pagine gli elementi necessari per comprendere le sue sensazioni, i sentimenti di una storia fatta di fantasmi che ritornano dal passato e di vite che cercano di trovare una propria ragion d'essere. Spesso si ripete questa riflessione, che risuona come una sentenza inappellabile: "Crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo [...] Crediamo di conoscerli, di amarli. Ma ciò che amiamo si rivela una traduzione scadente da una lingua che conosciamo appena".
Il mio rammarico in questi anni è di non aver continuato a leggere altre opere di questo grande autore. E ora che Andrew Sean Greer ha avuto finalmente il meritato riconoscimento mi sembra più che giusto sanare gli arretrati, ovvero "Le confessioni di Max Tivoli" e "Le vite impossibili di Greta Wells", per poi proseguire con il romanzo premiato, "Less".

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