sabato 1 settembre 2018

Novità letterarie – "Ripaferdine (storie di cortile)" di Paolo Vitaliano Pizzato

«Avevo trattato la zona con indifferenza, come un vecchio amico che si è smesso di frequentare, un ex compagno di scuola sbiadito insieme agli insegnanti amati e odiati, alle aule e ai loro odori, abbandonato nell'eterno sovrapporsi dei giorni. Avevo avuto le mie buone ragioni per comportarmi così, lo sapevo bene, ma in quel momento era come se le motivazioni di un tempo avessero perduto la loro importanza. Adesso c'era soltanto la zona, e il terrore di perderla per sempre».
"Ripaferdine (storie di cortile)" (Giraldi Editore) è un romanzo molto particolare di Paolo Vitaliano Pizzato, composto da una sequenza di quadri, di storie, di stralci di vita che alternano momenti di ironia, tenerezza e coraggio, ma anche di paura e scoramento. Sono storie legate tra loro dal filo della memoria, dalla nostalgia di un uomo che intende narrare tali vicende per cercare in qualche modo di trattenere e rievocare il passato, sforzandosi di impedire che i pezzi che lo compongono vadano inesorabilmente perduti a causa dell'inarrestabile avanzare del progresso.


L'uomo che cerca di realizzare tale salvifica narrazione è un ingegnere che ha trascorso la sua infanzia e adolescenza in un quartiere periferico di Milano, "un quadrilatero, una serie di vie che tagliano schiere di palazzi e piccoli negozi", confidenzialmente ribattezzato "la zona" dai suoi abitanti, e che ora vi ritorna per svolgere il suo lavoro, ovvero vigilare sull'esecuzione di un piano di ristrutturazione che, in vista dell'Expo 2015, avrebbe dovuto coinvolgere l'intera zona trasformandola radicalmente.
La paura dell'ingegnere è che la zona con questo profondo stravolgimento possa perdere i suoi connotati essenziali, quelle caratteristiche che in un certo senso l'avevano resa un luogo unico e a cui i suoi ricordi di bambino sono legati in modo indissolubile. Per questo motivo vuole affidare tali ricordi alla scrittura, da cui emerge un'assai variopinta galleria di personaggi, ognuno con il proprio mondo interiore da cogliere e svelare nella sua essenza.
L'io narrante - inizialmente rappresentato dall'ingegnere che nelle pagine successive ritorna a essere semplicemente Paolo, quel bambino che giocava in cortile con i suoi amici - si trasforma acquisendo un punto di vista collettivo, ovvero quel gruppo di ragazzini che della zona costituisce l'anima, lo spirito vitale, l'acuto occhio indagatore.
I ragazzi vivono la zona con i loro giochi, i litigi, i conflitti e le competizioni, i primi tormenti amorosi e un profondo sentimento di fratellanza che nel corso degli anni li unisce. La zona diviene il loro punto di riferimento rispetto a cui paragonare ogni altra parte della città che, di conseguenza, «diventa miraggio, qualche volta desiderio, qualche altra invece, quando decidiamo di avventurarci oltre la nostra zona, diventa scoperta». E, percorrendo la strada principale, talmente lunga e dritta che non se ne vede la fine, nella zona finiscono per arrivare i protagonisti delle diverse storie, persone che i ragazzi non possono fare a meno di osservare con attenzione imparando col tempo a capirle.


"Ripaferdine", in continuità con i precedenti romanzi di Pizzato, denota una forte esigenza di analisi introspettiva, che viene resa efficacemente attraverso la combinazione di altri elementi, tra cui la narrazione di carattere memoriale e, per certi aspetti, il romanzo di formazione, e assume una dimensione corale, collettiva, di umana partecipazione alle vicende di uomini e donne che si sentono sconfitti dalla vita, ma che in qualche modo riescono a non essere completamente infelici: «gli uni avevano gli altri, seppur in una comunione umana confusa, in una babele d'affetti che scambiava per autentico interesse una morbosità pruriginosa, in un immaturo labirinto di invidie, separazioni, alleanze che mutavano a un ritmo impressionante; vivevano una vita da villaggio, obbedienti alla regola non scritta di una mutua trasparenza, ciascuno esibendo se stesso, il ladro come il fallito, la puttana come l'ubriaco».
Ho parlato prima di "romanzo di formazione", in quanto i ragazzi, come risulta particolarmente evidente nella narrazione, crescono e maturano in quella "comunione umana confusa", imparano a capire il mondo che li circonda, traendone numerosi insegnamenti di vita, e in tal modo, si fortificano cercando di comprendere come affrontare la morte, la malattia, la solitudine, la disperazione, la follia.
L'autore conferma di possedere uno stile originale, con una scrittura precisa e ben articolata, forse ancor più matura rispetto alle precedenti opere, ricca di descrizioni accurate di luoghi e sensazioni, ben incanalate attraverso il punto di vista dei vari protagonisti. È un romanzo denso di una poeticità malinconica che trapela da ogni storia. 


Con le strampalate avventure del ladro Arnaldo, che del furto vorrebbe fare la propria professione, ma che si ritrova alle prese con un camion da rubare e una brutta sorpresa, emerge un racconto fortemente ironico e scanzonato con un personaggio fuori dal comune che non sembra volersi piegare alle avversità di un destino beffardo, ma ne affronta le conseguenze cercando di mantenere sempre il suo "contegno di ladro".
Tenera e struggente è, invece, la storia del giovane Emilio che, per il suo lieve ritardo mentale si sente rifiutato dal padre, deriso dai coetanei e anche da persone più grandi, e cerca, quindi, di sfuggire a tale triste realtà aggrappandosi all'oscurità della notte per inseguire sogni e illusioni, urlando il suo amore disperato per una ragazza.
La signora Angela, ne "La donna e i cani", è la protagonista di un racconto malinconico, ma decisamente istruttivo, che si concentra sul tema dell'abbandono dei cani, delle sofferenze e delle sevizie che spesso tali animali subiscono per opera di persone senza scrupoli. Angela con amore e dedizione si prende cura di loro prima al canile e poi con le adozioni, e si ritrova circondata dall'affetto e dalla comprensione dei ragazzini della zona che, dopo la morte di Biscotto, il primo cane adottato da Angela, si sentono responsabili e partecipi, quasi volessero prendersi una rivincita sulla morte.
"L'innamorato riflesso in un vetro" è, infine, la drammatica parabola di Desiderio, che vuol diventare ricco e farsi re come il sovrano longobardo di cui porta il nome, conosciuto studiando storia sui banchi di scuola. Ma Desiderio, in questa sua corsa, finisce per costruirsi intorno una barriera che lo porta a rifiutare la sua adolescenza, a opporsi a ogni coinvolgimento sentimentale e a ogni perdita di tempo che potrebbe distrarlo dal suo obiettivo, una barriera che, più in là con gli anni, mostrerà tutta la sua fatale fragilità.
"Ripaferdine" è, dunque, una narrazione corale di storie di persone sconfitte dalla vita, che cercano un modo per essere un po' meno infelici, ma è anche un racconto che ci parla dell'importanza della memoria. Non ci si può illudere che il mondo, specialmente quello della propria infanzia, possa rimanere per sempre inalterato e uguale a se stesso, in quanto ogni progresso è inevitabile e ogni rimpianto è inutile. Ma la memoria è un bene che nessuno può sottrarci e tentare di salvarla, trasmetterla, diffonderla, diventa una necessità ineludibile.

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